Tuesday 31 January 2012

Il mercato flessibile

Dopo le liberalizzazioni banali che hanno risparmiato banche ed assicurazioni, il Governo sta cominciando infine ad aprire il dossier lavoro. Le proposte sul piatto sono diverse, dall'impraticabile flex security - che declinata all'italiana sarebbe molto flex e zero security, vista l'impossibilità di reperire le risorse necessarie - alla proposta Boeri-Garibaldo che si propone di ridurre la giungla dei contratti atipici e riportare un pò di uniformità nel mercato del lavoro.
La proposta, come viene presenata, vorrebbe ridurre la disparità di trattamento tra giovani precari e "anziani" protetti dall'articolo 18. In breve, la proposta è dare un contratto unico di entrata al lavoro di 3 anni, con poche garanzie, salario basso e protezioni ridotte, che diverrebbe poi garantito e stabile dopo 36 mesi.
Peccato che questo avverrà in rarissimi casi. Se pensiamo al turnover di questi ultimi 20 anni, possiamo capire che in moltissimi lavori il contratto sarà terminato prima della fine del "periodo di prova", mantenendo così i salari bassi ed i lavoratori deboli. E' esattamente il contrario di quello che serve al paese. Con pochissimo investimento in capitale umano e con produttività bassissima, il mercato del lavoro italiano ha bisogno di una riforma che fidelizzi il rapporto tra impresa e lavoratore per permettere un rilancio qualitativo della nostra industria (ed anche dei servizi!) invece che basarsi semplicemente su una rivisitazione del super-sfruttamento.
La proposta Boeri potrebbe aver senso in paesi caratterizzati da vero investimento in capitale umano: una volta che le imprese spendono per formare il lavoratore avranno pochi incentivi a licenziarlo. Ma questo non è certo il caso dell'Italia, economia tecnologicamente arretrata dove anche il settore pubblico ed addirittura l'istruzione sono caratterizzati dal precariato selvaggio.
Insomma, una riforma che oltre a non risolvere il problema del precariato darebbe un colpo durissimo al rilancio della nostra economia.

Tuesday 24 January 2012

Più mercato o più stato?

Il governo Monti ha da poco lanciato le sue "lenzuolate" liberalizzanti, che sono diventate immediatamente la bandiera politica ed ideologica del governo.
L'idea dietro le liberalizzazioni è chiara, smuovere blocchi di potere, rendere più flessibile il mercato, rilanciare l'economia. Addirittura Monti ha parlato di una potenziale crescita del 10%, roba che neanche Berlusconi col suo milione di posti di lavoro.
Cerchiamo di capire meglio. Che in Italia esistano delle corporazioni, non c'è dubbio, e questo è testimoniato dalla bassissima mobilità sociale. Giusto, dunque, intervenire. Peccato che però il ricorso al mercato e alla concorrenza non sia la cura giusta. Basta pensare al Regno Unito, che proprio insieme all'Italia ha la più bassa mobilità sociale europea. Il mercato lasciato a se stesso non funziona, anzi, favorisce i più ricchi contro i più poveri. Un mercato regolato e con i giusti incentivi, invece, può sicuramente portare a dei vantaggi.
Pensiamo al caso simbolo, quello dei taxi. Che i taxi funzionino poco in Italia, è davanti agli occhi di tutti, ed un intervento liberalizzante che abbassi i prezzi è apprezzabile. Ma in un'ottica più complessa, per esempio con un piano integrato dei trasporti, che allarghi il mercato dei taxi a discapito di quello del trasporto privato.
Città in cui viene disincentivato fortemente il traffico automobilistico sono indispensabili per migliorare la qualità della vita e diminuire l'inquinamento - magari con forti disincentivi per chi usa l'auto, tipo la congestion charge londinese.
Meno macchine, più trasporti pubblici, compresi taxi. Taxi che però devono al contempo diventare molto più a buon mercato di quello che sono attualmente, e lo si può fare liberalizzando ma anche cambiando la struttura proprietaria sul mercato. Tanti piccoli padroncini, il vecchio vizzo italiano, si fanno inevitabilmente guerra tra di loro - ed anche ora guadagnano poco. Se le politiche pubbliche porteranno ad un allargamento del mercato, ecco allora che i ricavi pro-capite non diminuiranno anche in presenza di prezzi più bassi. Se poi si passasse a cooperative di tassisti, con l'eliminazione totale delle licenze, si potrebbero diminuire molti costi fissi e garantire le necessarie coperture per i soci, o i dipendenti.
Questo è il compromesso giusto, migliorare i servizi con un piano generale e non sperare semplicemente che ci pensi il mercato. Politica industriale, si diceva una volta.

Thursday 19 January 2012

Terza Guerra Mondiale

Il termine, invero un pò forte, è stato evocato dal banchiere d'affari Guido Vitale in una intervista sul Corriere della Sera. Il tema in discussione erano le agenzie di rating e il declassamento di quasi tutta l'Europa, compreso l'Efsf, in cui ci sarebbe lo zampino americano. Il concetto, in forma un pò più soft, è stato ripreso anche da Olli Rehn che ha definito le suddette agenzie "uno strumento del capitalismo USA".
Non sono bei segnali. Per difendere la City, il Regno Unito sta velocemente abbandonando l'Europa, mentre a Bruxells si comincia a covare il (sensato) sospetto che la finanza, largamente anglosassone, abbia anche un progetto politico.
Nei paesi meridionali dell'Europa si nutre lo stesso dubbio nei confronti della Germania, che deliberatamente strozza Grecia, Italia e Spagna a favore del capitale tedesco - e magari per comprare a prezzi stracciati quello che rimarrà del Mediterraneo. La situazione è talmente grave che pure il moderatissimo Monti invita i tedeschi a non confondere autorevolezza ed autoritarismo.
Ed anche Draghi ha cominciato a chiedere più soldi a Berlino, ma dalla Germania hanno prontamente risposto che non daranno un marco per salvare l'Italia. E ad Atene, intanto, il default è ormai scontato e mancano le aspirine dalle farmacie.
Tutti contro tutti. La crisi globale del capitalismo si sta velocemente trasformando in crisi politica, le cui conseguenze, imprevedibili, ridisegneranno i rapporti di forza a livello mondiale per il prossimo secolo. Con un'unica certezza: l'Europa ne uscirà con le ossa rotte.

Wednesday 11 January 2012

Compagno Sarkò...

All'ultimo vertice europeo si è visto uno scatenato membro del movimento no-global rivendicare le sue scelte senza compromessi, neanche si fosse sulle piazze di Seattle o Genova. No, non era Ignacio Ramonet, era in realtà Sarkozy che, impassibile davanti al netto rifiuto inglese, annunciava che la Tobin Tax europea si farà, ed anche subito.
Perbacco, come cambia il mondo. Non è solo Sarkozy ad aver messo i panni del rivoluzionario. In Italia Tremonti ha fatto quello che Prodi si era rifiutato di fare solo pochi anni prima, ha alzato le tasse sulle rendite finanziarie. Monti addirittura manda gli ispettori a Cortina, sembra quasi Bertinotti lanciato asta in resta al grido "anche i ricchi piangono". La Repubblica apre dossier sulle spese militari e l'acquisto dei caccia, forse con l'intento di sostituirsi a Liberazione (che per il momento vive sul web). Montezemolo&c. sostengono la patrimoniale, manco fosse Rifondazione nel 96, e pure il timidissimo Obama solidarizza con Occupy Wall Street.
Tutte cose impensabili fino a 3-4 anni fa. Per 10 anni ci siamo sentiti dire che la sinistra era ancorata a bandiere del passato, che era demagogica, populista e, ci mancherebbe pure altrimenti, che non poteva governare. Infatti, hanno governato gli altri, salvo poi scoprire che hanno sbagliato tutto e hanno portato l'Occidente al disastro.
Non può che far piacere che il programma economico di diversi leader europei sembri (a prima vista..) scritto scopiazzando da movimenti e partiti che "l'avevano detto" con largo anticipo. Ammettere gli errori è il primo passo verso la salvezza, si potrebbe dire. Mancano però un paio di elementi. Il primo è che il programma, a causa dei ritardi, è un pò datato e và aggiornato con la fine dell'indipendenza della BCE e il credito diretto alle imprese senza foraggiare la rendita bancaria. Il secondo è che quando nella vita si è capito di aver sbagliato tutto è giunto il momento di togliersi di torno.
Au revoir....

Friday 6 January 2012

Mercato, mercato, mercato

Ecco la ricetta del governo Monti per rilanciare l'Italia. Liberalizzare tutto per liberare le forze del mercato e garantire la crescita economica.
Un programma perfettamente coerente con l'impostazione ideologica di Monti&c. ma che tiene poco conto di quello che è successo negli ultimi anni - il mercato crea più problemi di quelli che risolve. L'intera crisi del 2008 stà lì a dimostrarlo.
Certo liberalizzare le licenze dei tassisti avrà probabilmente un impatto (minimo! sarebbe assai più utile diminuire il prezzo dei biglietti dell'autobus) positivo sui prezzi, ma il problema è l'ideologia dietro le liberalizzazioni.
Il mercato viene descritto come l'unica struttura istituzionale in grado di garantire l'efficienza, perchè sul mercato solo i soggetti più efficienti sopravvivono. Indubbiamente, dosi moderate di mercato possono essere utili, in alcuni campi specifici. Ma incentrare tutta la cosiddetta fase-2 sulle liberalizzazioni è fuorviante e sbagliato.
Fuorviante perchè dietro la lotta contro le "corporazioni" si nasconde il vero obiettivo del governo che, naturalmente, non sono tassisti e farmacisti, ma il mercato del lavoro. Scardinare le garanzie sociali per guadagnare in efficienza, in fondo lo ha chiesto anche Napolitano nel suo messaggio di auguri.
Quanto di più sbagliato ci sia! Liberalizzare il mercato del lavoro vuol semplicemente dire spostare la distribuzione del reddito dal lavoro a favore del capitale. Quello che Bersani con le sue lenzuolate sembra voler ignorare e che Monti invece sa perfettamente è che liberalizzazione vuol dire più concorrenza, più concorrenza, nella maggior parte dei casi, vuol dire prezzi più bassi, prezzi più bassi vuol dire salari minori. E' la dura legge della concorrenza capitalista, quella che ha portato all'impoverimento progressivo della classe media americana e britannica durante il lungo trentennio liberista. E che, a ruota, ha portato alla crisi finanziaria globale.
Siamo proprio sicuri che è quello di cui abbiamo bisogno?