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Monday, 24 December 2012

Made in America: ineguaglianza e monopolio


Recentemente abbiamo discusso i trend nella suddivisione del reddito in America, e come abbiamo visto la quota dei profitti è in ascesa costante, mentre la quota salari è ai minimi storici. Le spiegazioni economiche possono essere di diverso tipo, ma una di grande importanza è quella legata alla trasformazione in senso monopolista dell'economia americana. Questo tipo di argomentazione non solo non dovrebbe sorprendere nessun economista di sinistra, ma dovrebbe essere nel bagaglio intellettuale di qualsiasi economista liberale onesto. Che il monopolismo sia una alterazione della competizione e del libero mercato è cosa che si studia nei corsi base di macro-economia. E che l'economia americana, negli ultimi 30 anni (da Reagan in avanti, oh che sorpresa) sia diventata sempre più monopolista è fatto piuttosto noto, anche se quasi mai discusso (una notevole eccezione è quest'articolo di Lynn e Longman). Quando in questi ultimi decenni si è combattuto in nome del libero mercato, in realtà lo si è sempre fatto nel nome delle grandi compagnie, cioè quelle che alterano il mercato (non a caso, in Italia, il più grande paladino, a parole, del liberismo è stato il Monopolista per eccellenza, Berlusconi). Libertà d'impresa, infatti, non è sinonimo di libero mercato: perchè esista un vero mercato competitivo lo Stato deve attivamente abbattere monopoli e cartelli. Il che garantisce libertà d'entrata - cioè le piccole compagnie possono competere liberamente perchè i prezzi non sono fatti da altre compagnie (price-maker) ma sono il risultato di una competizione libera. Ma garantisce anche la libertà d'uscita, cioè la possibilità del fallimento di alcune imprese senza che questa metta a repentaglio un intero settore industriale (vedi il caso ILVA) quando non proprio l'economia nel suo complesso (è, ovviamente, il caso delle grandi banche o assicurazioni).
La crescita del monopolio non ha effetti solo sulla competizione tra imprese, ma, ovviamente, anche nella distribuzione del reddito e nell'influenza politica esercitata dal grande capitale. Le compagnie monopoliste bloccano la competizione e corrompono il mercato. E dunque non hanno un impatto solo sui prezzi al consumo, ma anche sul mercato del lavoro, soprattutto riducendo l'occupazione. Controllando il mercato, i monopolisti non hanno interesse ad espandere la produzione, stabilendo un equilibrio inefficiente sul mercato, caratterizzato da prezzi più alti e occupazione più bassa. Non investono, o investono meno, in ricerca e sviluppo, che è notoriamente una fonte importante di molti posti di lavoro. Bloccano l'entrata delle piccole compagnie sul mercato. E bloccano lo sviluppo di quelle piccole e medie già esistenti su segmenti di mercato collegati - la supply chain - perché possono imporre prezzi e quantità ai loro fornitori. Il tutto con un effetto netto di un perdita netta di posti di lavoro - come confermato dai dati sulla creazione di posti di lavoro anche prima della crisi. E quindi un indebolimento di fatto del lavoro. E qui parliamo semplicemente di relazioni economiche capitale/lavoro, senza neanche entrare nel complesso mondo delle lobby, della politica e del potere delle grandi imprese.


Wednesday, 20 June 2012

Lavorare di più?

Il sottosegretario Polillo, silenzioso ormai da troppo, ha lanciato una nuova idea per risolvere i problemi dell'Italia. Visto che allungare l'età lavorativa non basta per far crescere il PIL, possiamo provare in altra maniera, tipo lavorare una settimana in più all'anno.
Che idea brillante! Lasciamo perdere cosa questo vorrebbe dire per la qualità della vita dei lavoratori e per il nostro sistema sociale. Rimaniamo ai crudi numeri. Se l'economia fosse in una situazione di piena occupazione, Polillo potrebbe avere qualche ragione - più lavoro equivale a più investimenti, più produzione, più crescita.
Purtroppo in piena occupazione non siamo. E come mai? Perchè non c'è lavoro, perchè non ci sono prospettive di investimento per gli imprenditori. Non solo non si assume, ma si ricorre in maniera massiccia alla cassa integrazione, cioè i lavoratori sotto contratto vengono fatti lavorare meno di quello che dovrebbero. Basterebbe non avere cassa integrazione per aumentare il PIL. Polillo potrebbe cominciare a parlare con Marchionne, tanto per fare un esempio.
E se pure non ci fosse la cassa integrazione si potrebbe cominciare ad assumere i disoccupati prima di costringere chi già lavora a lavorare di più. Anzi, sarebbe proprio opportuno ridurre i giorni lavorativi ed assumere chi non ha lavoro, dato che l'aumento degli impiegati porterebbe ad un aumento dei consumi che aiuterebbe la produzione.
Lavorare di più, in una economia immobile come quella italiana, significherebbe solo ridurre il numero degli occupati, altro che aumentare il PIL.
Si tratta di considerazioni piuttosto ovvie che non richiedono una approfondita conoscenza dell'economia. Il dubbio è nessuno abbia avvertito Polillo dei dati occupazionali del Paese. O forse è semplicemente un incapace. In ogni caso l'ennesimo tecnico che non sa di cosa parla. La differenza con i politici, se c'è, davvero non si vede.

Tuesday, 12 June 2012

Quali riforme per la Pubblica Amministrazione?

La settimana scorsa si è nuovamente parlato di licenziamenti nel settore pubblico e di applicare anche alla PA la riforma del lavoro che abolisce l'articolo 18 per il resto dei lavoratori. Onestamente non si capisce perchè non dovrebbe essere così. Partendo dalla considerazione, più volte ripetuta su questo blog, che la riforma del mercato del lavoro non è solo inutile ma addirittura perniciosa, sarebbe comunque ridicolo che una sostanziale fetta di lavoratori godesse di un trattamento diverso rispetto agli altri.
Ma estendere la nuova regolamentazione al settore pubblico non può bastare, e sarebbe, come al solito, una finta riforma fatta in realtà con intenti punitivi. Il settore pubblico italiano, da almeno 30 anni a questa parte, è stato governato da un patto semi-criminale firmato da politica e sindacati. Un patto, per così dire, di stampo sovietico, "noi non vi paghiamo, voi non lavorate".
Ovviamente si tratta di una generalizzazione, ma illustra molto bene la situazione. Gli impiegati pubblici italiani sono tra i meno pagati d'Europa, con scatti di stipendio ancora legati all'anzianità ed un sistema di incentivi ridicolo. Gli stipendi bassissimi sono comepensati dalla sicurezza del posto di lavoro, sicurezza a prescindere.
E così ci troviamo in una situazione caratterizzata da assunzioni politiche più che economiche - basti pensare allo scandalo dei forestali calabresi - e produttività bassissima. Ed una organizzazione del lavoro a dir poco assurda. Pensiamo solo alle ore di attesa cui gli utenti sono costretti per essere serviti alla Motorizzazione mentre le Scuole Guida, che fanno quello per lavoro, hanno un accesso privilegiato. O al fatto che per ottenere 2 timbri da 2 diversi uffici del Tribunale l'utente deve portare personalmente il documento ad entrambi, visto che gli uffici tra loro non comunicano. Follia.
Tutto questo ha un costo enorme per l'economia, se solo pensiamo alle ore di lavoro gettate via in code, attese, etc etc. La PA deve entrare in una ottica diversa, quella del servizio al cliente, fornire incentivi ai propri lavoratori e soprattutto pagarli decentemente. Ma i dipendenti fannulloni e assenteisti, che sappiamo benissimo esistono, vanno puniti. Va protetto il lavoro ed il diritto al lavoro, non chi finge di lavorare.

Thursday, 5 April 2012

Lavoro: il PD salva la faccia, ma la sostanza è sempre quella

Dunque cosa è successo in queste due settimane, dalla presentazione della prima bozza di riforma del lavoro all'articolato venuto fuori dal vertice di maggioranza di ieri? La norma sui licenziamenti è stata ammorbidita, visto che ci si era resi conto che la formulazione precedente non funzionava. Il punto della questione è il reintegro in caso di licenziamento per motivi economici. Allo stato attuale, se questi motivi non esistono, il giudice decide il reintegro del licenziato. Secondo la nuova formulazione, invece:

"Se il giudice ritiene non valido il motivo economico addotto dall’azienda, dovrà decidere per l’indennizzo economico, che sarà tra le 12 e le 24 mensilità in base alle dimensioni dell’azienda, dell’anzianità del lavoratore e del comportamento delle parti nella fase di conciliazione.
L'unico caso in cui il lavoratore avrebbe diritto al reintegro è se il giudice trovasse che i motivi addotti dall'azienda sono "manifestamente insussistenti".

Cosa voglia dire manifestamente insussistenti non è per nulla chiaro e sembra aprire le porte a comportamenti discriminatori, ma un pò nascosti, dell'azienda. D'altronde il Ministro Fornero è stato come al solito tranchant, i tempi sono cambiati e quindi l'art. 18 va modificato.
Ed il PD ha accettato questo compromesso tentando di salvare la faccia, quando in realtà su un diritto fondamentale del lavoratore non si doveva neanche trattare.
Non si doveva trattare perchè sia nella prima che nella seconda versione quella di Monti-Fornero è una battaglia ideologica, come più volte confermato dalle loro dichiarazioni. E questa battaglia ideologica è, come è chiaro, tesa ad indebolire il potere dei sindacati che sono visti come freno allo sviluppo - peccato che i due non abbiano mai parlato di che tipo di sviluppo si tratti.
Non si doveva trattare perchè l'Italia ha già un mercato del lavoro più che flessibile, come confermato dalle statistiche OECD e non c'era dunque nessuna necessità di rivedere al ribasso le garanzie per il lavoro, che al massimo andavano rafforzate.
Non si doveva trattare perchè non esiste nessuna prova che sia la rigidità del mercato del lavoro a deprimere gli investimenti - e Fornero, in maniera a dir poco ridicola, ha addirittura ammesso che il governo prevede un impatto positivo sulla crescita ma non ha fatto nessuno studio per calcolare tale impatto.
Non si doveva trattare, infine, perchè se è vero che una riforma si poteva fare, non la si può fare in tempi di crisi, quando le aziende licenziano invece di assumere. Una maggiore flessibilità, del tipo della flex-security danese, è possibile solo con una riforma complessiva degli ammortizzatori e con un dispendio di risorse che al momento il governo non ha.
Altrimenti rimane il solito pasticcio all'italiana, questa volta confezionato da supposti professori, delle cui capacità è ormai lecito dubitare, dato che ogni provvedimento fatto si è trasformato in un pasticcio che neanche i principianti...

Wednesday, 21 March 2012

Governo, lavoro e i numeri che non mentono

Il governo dei poteri forti sta definitivamente svelando il suo vero volto. Non contento di aver colpito i lavoratori rinviando la loro pensione e obbligandoli a lavorare di più, oggi ne attacca i diritti fondamentali, abrogando di fatto l'art.18.
Era prevedibile, era addirittura scontato. Qualsiasi persona di buon senso sa benissimo che in Italia la flessibilità del mercato del lavoro è già molto alta, anzi altissima per quanto riguarda il lavoro in entrata.
D'altronde è l'OECD a certificarlo


Employment protection in OECD and selected non-OECD countries, 2008*
Scale from 0 (least restrictions) to 6 (most restrictions)
 

Protection of permanent workers against (individual) dismissal Regulation on temporary forms of employment Specific requirements for collective dismissal OECD employment protection index
United States 0.56 0.33 2.88 0.85
Canada 1.17 0.22 2.63 1.02
United Kingdom 1.17 0.29 2.88 1.09
New Zealand 1.54 1.08 0.38 1.16
South Africa 1.91 0.58 1.88 1.35
Australia 1.37 0.79 2.88 1.38
Ireland 1.67 0.71 2.38 1.39
Japan 2.05 1.50 1.50 1.73
Switzerland 1.19 1.50 3.88 1.77
Russian Federation 2.79 0.79 1.88 1.80
Israel 2.19 1.58 1.88 1.88
Denmark 1.53 1.79 3.13 1.91
Chile 2.59 2.04 0.00 1.93
Sweden 2.72 0.71 3.75 2.06
Hungary 1.82 2.08 2.88 2.11
Iceland 2.12 1.54 3.50 2.11
Korea 2.29 2.08 1.88 2.13
Slovak Republic 2.45 1.17 3.75 2.13
Netherlands 2.73 1.42 3.00 2.23
Brazil 1.49 3.96 0.00 2.27
Finland 2.38 2.17 2.38 2.29
Czech Republic 3.00 1.71 2.13 2.32
Estonia 2.27 2.17 3.25 2.39
Poland 2.01 2.33 3.63 2.41
Austria 2.19 2.29 3.25 2.41
Italy 1.69 2.54 4.88 2.58
Belgium 1.94 2.67 4.13 2.61
Germany 2.85 1.96 3.75 2.63
India 3.65 2.67 0.00 2.63
Norway 2.20 3.00 2.88 2.65
Slovenia 2.98 2.50 2.88 2.76
China 3.31 2.21 3.00 2.80
Portugal 3.51 2.54 1.88 2.84
Greece 2.28 3.54 3.25 2.97
France 2.60 3.75 2.13 3.00
Indonesia 4.29 2.96 0.00 3.02
Spain 2.38 3.83 3.13 3.11
Mexico 2.25 4.00 3.75 3.23
Luxembourg 2.68 3.92 3.88 3.39
Turkey 2.48 4.88 2.38 3.46
 source: http://www.oecd.org/document/11/0,3746,en_2649_37457_42695243_1_1_1_37457,00.html

La tabella smentisce categoricamente la fandonia del governo che il problema dell'Italia sia l'eccessiva regolamentazione del mercato del lavoro. Dunque gli investimenti esteri non verrebbero in Italia per la troppa rigidità? Eppure Francia e Germania hanno ben più protezione per il lavoro che nel nostro paese. Non solo! Pure in India e Turchia c'è più attenzione alla protezione del lavoro.
E non basta! Le modifiche all'art.18 riguardano solamente la prima colonna della tabella di sopra, quella sulle protezioni contro il licenziamento individuale. Beh, l'Italia in quanto a protezioni individuali è quasi in fondo alla tabella, facendo peggio, tra gli altri, di Ungheria, Slovacchia, Sud Africa e Messico, e persino l'ultra-liberista Irlanda!
E dunque perchè si decide di intervenire? Ancora una volta ci raccontano un sacco di frottole, il sistema pensionistico era già tra i più restrittivi in Europa, il mercato del lavoro è già scandalosamente flessibile.
L'azione del governo non è per rimettere a posto i conti, è una azione politica, dirò di più, ideologica, che porta avanti un ben preciso disegno della società, volto a smantellare diritti (e non privilegi). L'art.18 è solo un simbolo, ma un simbolo decisivo, perchè porta un attacco nel cuore della democrazia basata sull'accordo capitale-lavoro. Invece, si torna, brutalmente, a bastonare il lavoro, per uscire dalla crisi con un nuovo patto sociale, caratterizzato da un percorso violentemente reazionario, tutto a favore del capitale. Un balzo indietro di diversi decenni, una lotta di classe senza senza quartiere.
E' lo spartiacque della politica sul futuro. Con il lavoro, o con il capitale. Tertium non datur.

Wednesday, 14 March 2012

Fornero: quando lo stile è sostanza

Il ministro Fornero sta riuscendo nel compito quasi impossibile di far rimpiangere il suo predecessore Sacconi, una impresa veramente da titani.
Fornero pare molto attenta agli articoli da usare quando ci si riferisce alla sua regal persona - guai a dire LA Fornero - ma non ha altrettanta attenzione quando si tratta di tirare il collo ai lavoratori come fossero capponi a Natale. Prima, come l'eroina di un feuilleton di quarta serie, si mette a piangere annunciando i sacrifici dei pensionati, ma non si occupa neppure di salvaguardare le pensioni più basse, che se fosse dipeso da lei non sarebbero nemmeno state indicizzate.
Poi dichiara guerra ai sindacati, prima con minaccie, ieri addirittura con ricatti: o firmate o non diamo soldi ai lavoratori e li lasciamo in mezzo alla strada. Un linguaggio osceno di un ministro indegno.
La riforma da barzelletta che Fornero cerca di portare a casa è un proclama ideologico, sciocco e cieco. Il ministro vuol togliere l'art.18 (basta privilegi, pensate un pò) fingendo di ignorare che è un falso problema, che non proibisce certo il licenziamento per motivi economici, che difende semplicemente contro la discriminazione, che non ha nulla a che vedere con la flessibilità del mercato del lavoro. Soprattutto negando l'ovvietà che i bassi investimenti sono funzione della scarsa produttività (dove sono i soldi per ricerca e sviluppo?), della lentezza burocratica, della corruzione, delle tasse troppo alte. Cose di cui il governo si lava le mani.
In realtà, come qualsiasi commentatore serio potrebbe testimoniare, una seria riforma del mercato del lavoro richiederebbe, quella sì, una "paccata di miliardi" per garantire una vera copertura e soprattutto per garantire il training dei disoccupati. Altrimenti non cambierà nulla, anzi le cose peggioreranno. Una riforma di questa portata non si può fare, come ovvio, in periodi di recessione, quando ci sono meno soldi pubblici e quando la disoccupazione è in aumento. E non si può fare a colpi di decreto, perchè la famosa flex security danese funziona in un sistema di relazioni industriali completamente diverso, corporativo e non certo conflittuale come quello italiano.
Soprattutto in Danimarca hanno ministri più seri, non clown che vanno ad un tavolo di trattativa minacciando di tagliare i soldi messi a disposizione del governo, senza che questi soldi siano stati ancora stanziati. Fornero, col suo linguaggio da scaricatore, parla di "paccata" di miliardi perchè non sa il numero, e nemmeno sa dove verranno trovati. Chiederà a papà Monti che dovrà prendere in mano la cosa. Lei, intanto, potrebbe dimettersi.

Monday, 6 February 2012

Lavoro e Investimenti

Dopo l'iniziale ubriacatura pro-Monti presa da mezza Italia contenta finalmente di essersi sbarazzata di Berlusconi, la vera natura de nuovo esecutivo sta emergendo prepotentemente. Lo si era già detto, ma è il caso di ripetersi: si tratta di un governo di destra, destra liberale ma pur sempre destra. Per molti aspetti molto più a destra del governo precedente. Per di più con una incapacità direi quasi culturale di capire le ragioni della crisi che può essere paragonata forse solo all'esecutivo inglese, infatti iper-conservatore.
La polemica sull'art.18 è illuminante in questo senso. Tralasciamo pure per un attimo il fatto che in Italia la flessibilità (leggi: precarietà) già esiste, e sorvoliamo sul patetico tentativo di mettere lavoratori contro lavoratori, parlando di apartheid per chi non gode dell'art.18 (sulla brillante soluzione di risolvere questo apartheid discriminando tutti, avevo già commentato in passato).

Quello che in realtà più preoccupa è la giustificazione data da Monti per abolire l'art.18: disincentiva l'arrivo di investimenti stranieri che sono così necessari per far ripartire l'economia. Per un professore di economia, si tratta di un muostroso abbaglio, o più probabilmente di una scandalosa mistificazione. Gli investimenti esteri non vengono in Italia per moltissime ragioni, ma certo la tutela dei lavoratori non è in cima alla lista dei problemi. In Italia c'è una delle burocrazie più inefficienti d'Europa, con costi di transazione altissimi. Esiste una criminalità dilagante, e non solo al Sud. La corruzione è endemica. L'evasione fiscale, oltre ad un danno per lo Stato, distorce il mercato, favorendo le imprese che non pagano le tasse e che quindi hanno costi minori.
Per quanto riguarda il lavoro, il problema non è certo la rigidità in uscita. La produttività del lavoro è bassa perchè c'è pochissimo investimento in capitale umano e la spesa in R&D è tra le più basse del mondo occidentale. Il che si tramuta in assenza di eccellenze e del cosiddetto spill over effect, cioè del vantaggio ambientale, che non è una peculiarità della Silicon Valley ma esisteva pure nel pratese, nel marchigiano, o nel trevigiano quando la nostra economia ancora funzionava, pure in presenza dell'art.18.
In realtà il modello che propone Monti è esattamente l'opposto di quello di cui ha bisogno il paese. Monti vuole un mercato del lavoro senza diritti, possibile da sfruttare al massimo per competere sul prezzo (esattamente quello che è successo negli ultimi 20 anni, in cui l'Italia ha registrato salari da lavoro in decrescita e tra i più bassi d'Europa). In breve, il modello del Sud-Est Asiatico negli anni 70 ed 80, quando le imprese labour intensive e a basso valore aggiunto delocalizzavano dove il lavoro costava di meno. Anche la Cina lo fa, con la differenza che Pechino compra anche i pezzi pregiati dell'industria europea (Volvo) e americana (IBM). Sicuramente non è il caso dell'Italia che rischia di perdere anche le sue poche industrie di punta. E Monti propone di mettersi in concorrenza con l'Indonesia e puntare sul super-sfruttamento del lavoro.
Uno scenario da incubo

Tuesday, 31 January 2012

Il mercato flessibile

Dopo le liberalizzazioni banali che hanno risparmiato banche ed assicurazioni, il Governo sta cominciando infine ad aprire il dossier lavoro. Le proposte sul piatto sono diverse, dall'impraticabile flex security - che declinata all'italiana sarebbe molto flex e zero security, vista l'impossibilità di reperire le risorse necessarie - alla proposta Boeri-Garibaldo che si propone di ridurre la giungla dei contratti atipici e riportare un pò di uniformità nel mercato del lavoro.
La proposta, come viene presenata, vorrebbe ridurre la disparità di trattamento tra giovani precari e "anziani" protetti dall'articolo 18. In breve, la proposta è dare un contratto unico di entrata al lavoro di 3 anni, con poche garanzie, salario basso e protezioni ridotte, che diverrebbe poi garantito e stabile dopo 36 mesi.
Peccato che questo avverrà in rarissimi casi. Se pensiamo al turnover di questi ultimi 20 anni, possiamo capire che in moltissimi lavori il contratto sarà terminato prima della fine del "periodo di prova", mantenendo così i salari bassi ed i lavoratori deboli. E' esattamente il contrario di quello che serve al paese. Con pochissimo investimento in capitale umano e con produttività bassissima, il mercato del lavoro italiano ha bisogno di una riforma che fidelizzi il rapporto tra impresa e lavoratore per permettere un rilancio qualitativo della nostra industria (ed anche dei servizi!) invece che basarsi semplicemente su una rivisitazione del super-sfruttamento.
La proposta Boeri potrebbe aver senso in paesi caratterizzati da vero investimento in capitale umano: una volta che le imprese spendono per formare il lavoratore avranno pochi incentivi a licenziarlo. Ma questo non è certo il caso dell'Italia, economia tecnologicamente arretrata dove anche il settore pubblico ed addirittura l'istruzione sono caratterizzati dal precariato selvaggio.
Insomma, una riforma che oltre a non risolvere il problema del precariato darebbe un colpo durissimo al rilancio della nostra economia.

Wednesday, 30 November 2011

Qualche domanda per Ichino&C.

Con l'ascesa al governo di Monti è tornata di gran moda la figura del professor Ichino, tutte le sere in tv e la mattina sui giornali ad attaccare la FIOM e la CGIL e a perorare la possibilità di licenziare i privilegiati lavoratori che godono, addirittura, della protezione dell'articolo 18.
Ichino, cui non manca la fantasia, si è inventato un termine ad effetto, apartheid. Secondo lui esiste un sistema in cui i giovani vivono di contratti precari - quelli che lui ed i suoi amici peroravano 10-15 anni fa - mentre una parte di fortunati se la godono difesi da leggi "del secolo scorso" che sono proprio la causa delle sfortune dei primi.
Ichino, novello Mandela, si è lanciato nella battaglia contro questo apartheid. La sua soluzione, però è diversa da quella adottata in Sud Africa. Là si sono dati ai neri gli stessi diritti dei bianchi, Ichino preferisce togliere ai bianchi i diritti ed infilarli nel limbo degli sfruttati insieme ai neri. Geniale. Avessero avuto in Sud Africa una persona come lui si sarebbero risparmiati tanti problemi.
Naturalmente Ichino si opporrebbe a tale caricatura (?). Lui vuole dare opportunità a tutti. Vuole la flexsecurity danese, figuriamoci. Ed allora cerchiamo di capire meglio:
- In Danimarca, in effetti, le cose funzionano abbastanza bene. Si può licenziare, ma al lavoratore viene poi pagato lo stipendio dallo stato, viene riqualificato e lo stato stesso gli cerca un lavoro congruo al suo livello di capacità e di reddito precedente. Sa, Ichino e chi lo sostiene, che in Danimarca, per permettersi tale modello di ammortizzatori sociali, il livello di tassazione è circa il 55% del PIL, mentre in Italia è il 46%? Crede Ichino possibile che, insieme al licenziamento selvaggio, sia possibile ORA, SUBITO, ADESSO, aumentare in maniera così drastica la tassazione?
- La libertà di licenziare, sostiene Ichino, darà la possibilità di assumere di più. E' un'idea che fa a pugni con la logica, ma diamola per buona. Potrebbe spiegare allora, il buon Ichino, perchè in un mercato del lavoro in cui già esistono contratti flessibili - quelli dei lavoratori, cosiddetti discriminati - la disoccupazione è così alta? I giovani sono quelli che lavorano da precari, eppure la disoccupazione giovanile è la più alta d'Europa. E' colpa dei privilegi dei vecchi? E' colpa della mancanza di ammortizzatori sociali?
- Infine, Ichino sembra aver perso un passaggio fondamentale del cambiamento in atto nelle economie industriali avanzate. La competizione sul prezzo - cioè sullo sfruttamento del lavoro - è destinata a fallire. C'è sempre qualcuno che prenderà un salario inferiore. Le industrie, per sopravvivere, devono puntare su investimento in capitale umano e tecnologia per aumentare la produttività. Si è accorto Ichino che negli ultimi 20 anni, in presenza di leggi che flessibilizzavano il mercato del lavoro, la produttività è calata? Colpa dei lavoratori pigri e difesi dall'Art.18? O forse, invece, del fatto che non ha senso investire in capitale umano quando si compete sul prezzo, si abbassano i costi, e si licenziano i lavoratori che costano troppo?

Ichino attacca il sindacato perchè difende un modello di lavoro del XX secolo e non più attuale. Lui, insieme al suo amico Marchionne ed ai suoi sodali, ne propone uno ancora meno attuale, quello del XIX secolo, o forse, invece, quello della Cina contemporanea. Zero diritti, tutto il potere ai padroni delle ferriere. Che poi un personaggio così militi in un partito che, in qualche maniera e con qualche affanno, si definisce ancora di sinistra, beh....è uno dei tanti paraodossi della crisi italiana.