Friday, 24 February 2012

Le lezioni mai imparate

Se un extraterrestre fosse arrivato ieri sul nostro pianeta, completamente ignaro di quel che sta succedendo all'economia mondiale, avrebbe potuto informarsi leggendo il giornale della business community americana, il Wall Street Journal.
Ed avrebbe fatto delle scoperte interessanti.
In mattinata avrebbe letto un articolo che riporta i risultati di uno studio della World Bank sulla Cina. Il modello cinese, si dice, ha i giorni (o gli anni) contati. Il capitalismo di stato non funziona, bisogna dare più spazio alla concorrenza, il vero problema dell'economia cinese sono le imprese pubbliche che non pagano dividendi ed investono troppo. Addirittura la crescita economica potrebbe scendere al 7% annuo, più di 3 volte più alta che in America. Ma no, i cinesi non hanno capito nulla. Devono seguire i maestri americani, liberalizzare, togliere il controllo pubblico dall'economia, quello che ha garantito 30 anni di crescita mai visti senza un minimo rimbalzino. Allora si potranno garantirsi un futuro di prosperità.
D'altronde in questi anni le raccomandazioni non erano mancate. Agli inizi del nuovo millennio autorevoli studi avevano segnalato l'esigenza imprescindibili di rinnovare il sistema finanziario cinese, sempre dominato da questo maledetto stato che lo rendeva poco competitivo e trasparente. Per evitare una crisi finanziaria era dunque necessario, si sosteneva, adottare un modello anglosassone che avrebbe allocato meglio le risorse, secondo motivi di mercato e non politici, evitando un investimento eccessivo. Purtroppo anche allora i cinesi non ascoltarono le saggie istruzioni provenienti dall'estero....

Ritornando ad aprire il WSJ la sera, il nostro extratterestre avrebbe poi potuto leggere una intervista a Mario Draghi, governatore della BCE. E cosa ci racconta il buon Draghi? Inizia naturalmente con una bella lezioncina sulla fiscal consolidation e sulla necessità dell'austerity in tempi di crisi, senza accorgersi di essere anche un pò ridicolo visto che in America, con debito e deficit più alti dell'Eurozona si è fatta  molto meno austerity e si sono raggiunti risultati economici di gran lunga migliori. Ma poi si lancia anche in affermazioni di grande respiro, tipo spiegarci che il modello sociale europeo non esiste più ed era comunque inefficiente, che bisogna liberalizzare per diventare più competitivi.
D'altronde negli ultimi 30 anni cosa si è fatto? Non si è forse liberalizzato ed introdotta una crescente flessibilità nel mercato del lavoro? Dopo aver scardinato per legge il modello sociale europeo, come si fa ora a dire che non funziona? Non sarebbe più serio dire che non hanno funzionato le riforme liberali di questi ultimi decenni?
In effetti però non dovremmo sorprenderci, questo tipo di giochetti sono pane quotidiano per i personaggi alla Draghi. Ad inizio anni 90 WB e IMF spinsero per la liberalizzazioni delle economie delle Tigri Asiatiche, il cui successo era quasi un imbarazzo per il capitalismo americano. Naturalmente, dopo la crisi del 1997, si disse che il modello asiatico non funzionava anche se con tutta evidenza erano state le liberalizzazioni stesse a distruggerlo.

Dopo 5 anni di crisi nata e sviluppatasi nel settore privato americano e che ha mette in discussione le basi stesse del modello sociale a stelle e strisce, Draghi, la World Bank e compagnia cantante vanno in giro per il mondo a spiegare a cinesi ed europei che il futuro è una dose massiccia di mercato e che è meglio dimenticarsi di modelli - quello cinese, quello europeo - che avevano e, nel primo caso, hanno tuttora dato grande prova di sè. Forse sono Draghi&C. a venire da Marte.

Tuesday, 21 February 2012

Ma quale crescita?

Oltre che per l'ennesimo, inutile, pacchetto salva-Grecia, il vertice europeo si contraddistinto per una lettera-appello di diversi governi alla Commissione per rilanciare la crescita.
Una lettera che rimarrà, io credo, storica, per l'incredibile faccia di bronzo dei firmatari, prima di tutti David Cameron e Mario Monti. Il testo non fa il minimo accenno a politiche pubbliche, ci mancherebbe. Si basa tutto su mercato e liberalizzazioni, il modello che proprio Cameron ha adottato in Inghilterra con risultati che ogni commentatore di buon senso fatica a definire poco meno che fallimentari. Liberiamo le forze del mercato, e tutto si risolverà! D'altronde questo mantra è pure quello montiano, che nei suoi pochi mesi di governo si è occupato solo di rigore dei conti e ha pensato di far ripartire l'economia con 1000 licenze di taxi in più. E per bacco!
Non basta: la lettera chiede un settore finanziario più competitivo e non sempre garantito dai soldi dei cotnribuenti. Benissimo. Peccato che questi 2 governi siano davvero i meno adatti a parlare in questo caso. Il Regno Unito sta velocemente uscendo dal giro europeo proprio in difesa degli interessi della City - contrario pure alla Tobin Tax, per non parlare dello spezzatino bancario che è l'unica maniera per impedire il too big to fail. E il governo Passera-Monti ha da poco creato un fondo di garanzia pubblico per le banche, i cui prestiti sono ora garantiti dallo Stato.
Il testo si chiude brillantemente con un accenno al mercato del lavoro, da rendere più competitivo. Bravo Monti! Prima va in Europa a dire che bisogna liberalizzare (leggi: licenziare), poi torna in Italia e comanda a colpi di decreto dicendo che ce l'ha imposto l'Europa. Insomma, viene in mente una vecchia copertina di Cuore


Il risultato incredibile è che una lettera di questo tenore riesce pure a far risultare simpatici e coerenti i 2 principali leader europei che non hanno firmato: Merkel e Sarkozy......

Thursday, 9 February 2012

Paghi la Grecia per tutti

In Grecia i guai non finiscono mai. Son due anni che la UE impone tagli, e son due anni che questi tagli recessivi peggiorano la situazione, affondano l'economia e le finanze pubbliche e, a ruota, richiedono altri tagli.
Adesso l'Europa ricatta nuovamente Atene, sfruttando un meccanismo di aiuti sadico: le tranche del prestito accordato negli anni scorsi vengono ridiscusse prima di ogni  disborso del prestito, imponendo sempre nuove condizioni.
Ora si ordinano altri tagli ai salari minimi, alle pensioni, e alle spese sui farmaci. Che vergogna, prendersela con i più deboli, i più poveri, gli anziani, i malati. Il salario minimo dovrebbe essere ridotto a meno di 600 euro mensili, livellli da fame mentre gas e petrolio aumentano. Questa è l'idea brillante per rilanciare la competitività greca, sfruttare ed affamare i lavoratori. Manco in Cina!
Anche perchè al momento la Grecia non ha una democrazia migliore di quella, inesistente, cinese. La UE non tratta neanche più, manda lettere ultimative. Chiarissimi i tedeschi: o facciamo come si dice noi, o falliscono. Mentre per banche ed hedge fund l'adesione all'haircut sui titoli è su base completamente volontaria, ci mancherebbe.
Ovviamente se l'inutile Parlamento ateniese accetterà, non sarà l'ultimo sacrificio. Il Pil continuerà a crollare, i conti dello Stato rimarranno in rosso, ed altri tagli saranno presto all'ordine del giorno. Non lo dice solo "City", ma pure la maggioranza degli analisti di mercato (proprio della City...) è concorde: questo tipo di austerity è controproducente. Se ne sono accorti tutti, tranne che a Bruxells (in realtà, ovviamente, Berlino). O forse è stato fatto tutto scientemente. Per due anni si è affamato la Grecia mentre si guadagnava tempo per mettere in sicurezza le banche tedesche e francesi, riassestate dal recente prestito a tasso quasi zero di oltre 1000 miliardi di Euro (che per pensionati, lavoratori e malati di Atene non ci sono...). Non a caso ora i burocati europei e gli arroganti tedeschi parlano con tranquillità di una possibile uscita  di Atene dall'Euro. Hanno pagato i greci per tutti, adesso possono anche morire.


Monday, 6 February 2012

Lavoro e Investimenti

Dopo l'iniziale ubriacatura pro-Monti presa da mezza Italia contenta finalmente di essersi sbarazzata di Berlusconi, la vera natura de nuovo esecutivo sta emergendo prepotentemente. Lo si era già detto, ma è il caso di ripetersi: si tratta di un governo di destra, destra liberale ma pur sempre destra. Per molti aspetti molto più a destra del governo precedente. Per di più con una incapacità direi quasi culturale di capire le ragioni della crisi che può essere paragonata forse solo all'esecutivo inglese, infatti iper-conservatore.
La polemica sull'art.18 è illuminante in questo senso. Tralasciamo pure per un attimo il fatto che in Italia la flessibilità (leggi: precarietà) già esiste, e sorvoliamo sul patetico tentativo di mettere lavoratori contro lavoratori, parlando di apartheid per chi non gode dell'art.18 (sulla brillante soluzione di risolvere questo apartheid discriminando tutti, avevo già commentato in passato).

Quello che in realtà più preoccupa è la giustificazione data da Monti per abolire l'art.18: disincentiva l'arrivo di investimenti stranieri che sono così necessari per far ripartire l'economia. Per un professore di economia, si tratta di un muostroso abbaglio, o più probabilmente di una scandalosa mistificazione. Gli investimenti esteri non vengono in Italia per moltissime ragioni, ma certo la tutela dei lavoratori non è in cima alla lista dei problemi. In Italia c'è una delle burocrazie più inefficienti d'Europa, con costi di transazione altissimi. Esiste una criminalità dilagante, e non solo al Sud. La corruzione è endemica. L'evasione fiscale, oltre ad un danno per lo Stato, distorce il mercato, favorendo le imprese che non pagano le tasse e che quindi hanno costi minori.
Per quanto riguarda il lavoro, il problema non è certo la rigidità in uscita. La produttività del lavoro è bassa perchè c'è pochissimo investimento in capitale umano e la spesa in R&D è tra le più basse del mondo occidentale. Il che si tramuta in assenza di eccellenze e del cosiddetto spill over effect, cioè del vantaggio ambientale, che non è una peculiarità della Silicon Valley ma esisteva pure nel pratese, nel marchigiano, o nel trevigiano quando la nostra economia ancora funzionava, pure in presenza dell'art.18.
In realtà il modello che propone Monti è esattamente l'opposto di quello di cui ha bisogno il paese. Monti vuole un mercato del lavoro senza diritti, possibile da sfruttare al massimo per competere sul prezzo (esattamente quello che è successo negli ultimi 20 anni, in cui l'Italia ha registrato salari da lavoro in decrescita e tra i più bassi d'Europa). In breve, il modello del Sud-Est Asiatico negli anni 70 ed 80, quando le imprese labour intensive e a basso valore aggiunto delocalizzavano dove il lavoro costava di meno. Anche la Cina lo fa, con la differenza che Pechino compra anche i pezzi pregiati dell'industria europea (Volvo) e americana (IBM). Sicuramente non è il caso dell'Italia che rischia di perdere anche le sue poche industrie di punta. E Monti propone di mettersi in concorrenza con l'Indonesia e puntare sul super-sfruttamento del lavoro.
Uno scenario da incubo