Saturday, 5 January 2013

La Banca Centrale, l'inflazione e la piena occupazione

Qualche tempo fa avevamo parlato del "peggior" banchiere centrale del mondo, la governatrice della banca centrale argentina, Mercedes Marco del Pont. La signora aveva vinto il premio per aver inserito nel suo mandato criteri "assurdi" per la comunità finanziaria internazionale, come lo sviluppo economico e l'equità sociale. Per decenni, infatti, si è pensato che le banche centrali dovessero solo garantire la stabilità dei prezzi e dei mercati finanziari. La BCE fu costruita seguendo questo modello e il suo mandato rispecchia tali priorità.
Dall'altra parte dell'Atlantico però qualcosa si muove. La FED ha sempre tenuto tra le sue priorità anche il livello occupazionale anche se, di fatto, dando a questo parametro meno importanza che agli altri due. Ben Bernanke, però, ha ultimamente fatto dichiarazioni che hanno fatto scalpore nella comunità economico-finanziaria internazionale. Ha infatti sostenuto che in questo momento non è tanto importante tenere l'inflazione sotto il 2% quanto invece cercare di far calare la disoccupazione sotto il 6.5%. Mica poco!
A parte un approccio più espansivo per la politica monetaria (e quindi un aiuto diretto alla Casa Bianca e ai suoi piani di sviluppo economico), tale dichiarazione ha una valenza teorica e filosofica di una certa importanza. Infatti per tutti o quasi i figliocci di Milton Friedman la disoccupazione non è mai stata un problema, anzi. La disoccupazione è trattata nella maggior parte dei casi come "volontaria" (i lavoratori si rifiutano di lavorare al corrente livello dei salari), e soprattutto è vista come una variabile "positiva" in quanto aumenta la flessibilità del sistema economico. Una percezione per altro condivisa dal grande capitale (ma guarda te) che sa benissimo che tanto più siamo lontani dalla piena occupazione tanto più basso sarà il livello dei salari.  Con le sue parole Bernanke riporta il focus sulla questione sociale e sull'importanza del lavoro, specialmente nei periodi di crisi. E relativizza, anche se solo marginalmente, il ruolo dell'inflazione, vera e propria ossessione dei monetaristi (ossessione per altro non comprovata da nessun dato reale, come già spiegato in passato).
Se anche la BCE (e, soprattutto, la Germania) cominciassero ad essere meno dogmatici e ad ispirarsi un poco al pragmatismo americano, anche per la crisi europea (sia per quanto riguarda il debito, sia per quanto riguarda il deficit di competitività dell'area mediterranea rispetto a quella nordica) potrebbero finalmente aprirsi spiragli di speranza.

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