Tuesday, 18 October 2011

Democrazia, protesta e violenza

Oggi mi permetto una digressione, ma neanche tanto chè si parla pur sempre di economia politica. Il tema del giorno rimane sempre la violenza di Sabato. Premetto che non mi piacciono gli spaccavetrine, anche se penso che i problemi veri siano altrove e che la violenza in questi casi abbia, comunque, sempre un connotato politico, anche se rozzo, e che quindi non ci si possa limitare alla condanna. Nel vasto dibattito che ne è seguito mi è stato fatto notare da un amico che la violenza non può essere mai giustificata quando si dispone, come in Italia, del diritto di voto e di sciopero.
E' un argomento che ha una sua certa validità e non va sottovalutato. In astratto è giustissimo, ma lo è davvero nel concreto della situazione italiana? Ora, lasciamo da parte per un momento il fatto che in Italia il diritto di sciopero è sotto attacco (v. caso Fiat), e così lo sono fondamentali diritti (v. possibilità di licenziare a piacimento e fine della contrattazione nazionale). Rimane però il fatto che si ha la possibilità di votare per cambiare le cose. Purtroppo, non è molto vero. Non lo dico da estremista, ma da osservatore. Per tutta l'estate (e per tutti gli ultimi 2 decenni, almeno) si è detto che bisogna fare questo e quello per soddisfare i mercati, si è detto che i mercati domandano e noi dobbiamo rispondere. Ma i mercati NON sono una parte integrante della nostra democrazia, perchè non votano. Eppure le loro richieste vengono prima di quelle degli elettori. Già questo ci dice che la qualità della nostra democrazia è compromessa e che il diritto di voto non è più, ahimè, importante come era una volta.
Non è finita: la democrazia, se vogliamo andare oltre una definizione giuridica, non è solo libere elezioni. La democrazia è un sistema politico che garantisce le minoranze, le include nell'arena politica, le trasforma in cittadini. Per definizione, dunque, è un sistema in parziale contrapposizione al mercato perchè deve ridistribuire risorse in maniera da includere, mentre il mercato tendenzialmente esclude (in nome dell'efficienza, si diceva una volta). Ma le democrazie attuali, prese in ostaggio dai mercati, non includono. Come dicevo ieri, non a caso le violenze avvengono nei ghetti neri americani, nelle banlieues francesi, i luoghi principi dell'esclusione. Ed il lavoro, in una società di mercato, è un elemento chiave della cittadinanza, e la mancanza di lavoro è, a tutti gli effetti, una ghettizzazione, la trasformazione in cittadino di serie B.
Se quindi una democrazia esclude, se il diritto di voto viene ridotto a feticcio, come possiamo soprenderci dell'esplodere della violenza? Il che, ovviamente, non vuol dire non condannarla. Ma spiegarla. E capire che non saranno le leggi speciali del duo Maroni-Di Pietro a fermarla. Ha dunque ragione Parlato quando dice che la violenza era inevitabile e che anzi potrebbe essere istruttiva. Se soltanto chi avesse gli occhi per vedere li aprisse...

1 comment:

  1. ...we are the 99%... vorrei che funzionasse così anche in Italia.
    Il problema è che in una pseudodemocrazia quale la nostra, fatico a non cadere nelle teorie dietrologico-complottiste.
    Ovvero: come inquadrare i fatti di sabato scorso? in una situazione politica "normale" sarebbe semplice dare una spiegazione : per la sinistra una azione provocatoria,per la destra un tentativo eversivo e destabilizzante.
    Ora non è così: non riesco a dare un volto politico alle azioni commesse, ed anche il "cui prodest?" non funziona.
    we are the 99%, but we take the 0.99%...
    Ciao
    Enrico

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