Allo scorso vertice europeo la Gran Bretagna ha posto il veto su una maggiore integrazione economica, ponendosi di fatto ai margini della UE, con già un piede fuori di essa.
Sull'utilità di tale trattato mi sono già espresso. Ma il veto brittanico non ha nulla a che fare con l'opposizione al rigore fiscale, di cui anzi George Osborne è un iper-ideologizzato entusiasta. Senza dover fare tante dietrologie, Cameron ha spiegato che Londra non poteva accettare le restrizioni che la nuova UE voleva applicare alle transazioni finanziarie. Giù le mani dalla City!
Il settore finanziario è stato il grande protagonista della crescita inglese degli anni '90 - insieme al settore edilizio, irrorato proprio dalla liquidità delle banche e dalla loro grandeur, ha contribuito al 50% della crescita del PIL nel decennio precedente la crisi. La cool London di Blair era in realtà il risultato dell'espansione abnorme dei servizi finanziari che aveva fatto della capitale britannica un hub finanziario di prima importanza, sotto molti versi più importante di New York, attirando capitali e talenti da tutto il mondo.
Il Labour aveva investito tutto sulla City, trasformandosi da partito del lavoro in partito della finanza. Ora però c'è un vero e proprio salto di qualità, col governo conservatore che identifica l'interesse nazionale con l'interesse delle banche. Tutto ad un tratto sembra di vivere nella Francia del 1848 con l'esecutivo come comitato d'affari della borghesia di marxiana memoria. Esecutivo che dimostra di aver capito assai poco della crisi che attanaglia il capitalismo occidentale di inizio Millennio.
Per difendere gli interessi del capitale finanziario il Regno Unito si è isolato dal resto d'Europa. Non è la prima volta e vale la pena di ricordare che a Londra c'è ancora la sterlina e non l'Euro. E l'Europa ha dato tale misera prova di sè stessa negli ultimi anni che l'euroscetticismo britannico è abbastanza comprensibile. La UE è in crisi e l'euro potrebbe anche sparire nel giro di pochi mesi, proprio per questo i cambiamenti istituzionali sono necessari, ed in fretta. Lo splendido isolamento brittanico rischia dunque di trasformarsi in marginalizzazione, l'Europa non può più aspettare i tentennamenti londinesi.
E potrebbe essere una buona notizia. La Gran Bretagna ha sempre frenato di proposito qualsiasi tentativo di integrazione politica a livello europeo. Ora, autoescludendosi, rischia di perdere il suo potere di veto. D'altronde, la partecipazione al consesso europeo senza condividerne lo spirito e la moneta è un paradosso, che ironicamente proprio l'inettitudine di Cameron potrebbe risolvere.
Sull'utilità di tale trattato mi sono già espresso. Ma il veto brittanico non ha nulla a che fare con l'opposizione al rigore fiscale, di cui anzi George Osborne è un iper-ideologizzato entusiasta. Senza dover fare tante dietrologie, Cameron ha spiegato che Londra non poteva accettare le restrizioni che la nuova UE voleva applicare alle transazioni finanziarie. Giù le mani dalla City!
Il settore finanziario è stato il grande protagonista della crescita inglese degli anni '90 - insieme al settore edilizio, irrorato proprio dalla liquidità delle banche e dalla loro grandeur, ha contribuito al 50% della crescita del PIL nel decennio precedente la crisi. La cool London di Blair era in realtà il risultato dell'espansione abnorme dei servizi finanziari che aveva fatto della capitale britannica un hub finanziario di prima importanza, sotto molti versi più importante di New York, attirando capitali e talenti da tutto il mondo.
Il Labour aveva investito tutto sulla City, trasformandosi da partito del lavoro in partito della finanza. Ora però c'è un vero e proprio salto di qualità, col governo conservatore che identifica l'interesse nazionale con l'interesse delle banche. Tutto ad un tratto sembra di vivere nella Francia del 1848 con l'esecutivo come comitato d'affari della borghesia di marxiana memoria. Esecutivo che dimostra di aver capito assai poco della crisi che attanaglia il capitalismo occidentale di inizio Millennio.
Per difendere gli interessi del capitale finanziario il Regno Unito si è isolato dal resto d'Europa. Non è la prima volta e vale la pena di ricordare che a Londra c'è ancora la sterlina e non l'Euro. E l'Europa ha dato tale misera prova di sè stessa negli ultimi anni che l'euroscetticismo britannico è abbastanza comprensibile. La UE è in crisi e l'euro potrebbe anche sparire nel giro di pochi mesi, proprio per questo i cambiamenti istituzionali sono necessari, ed in fretta. Lo splendido isolamento brittanico rischia dunque di trasformarsi in marginalizzazione, l'Europa non può più aspettare i tentennamenti londinesi.
E potrebbe essere una buona notizia. La Gran Bretagna ha sempre frenato di proposito qualsiasi tentativo di integrazione politica a livello europeo. Ora, autoescludendosi, rischia di perdere il suo potere di veto. D'altronde, la partecipazione al consesso europeo senza condividerne lo spirito e la moneta è un paradosso, che ironicamente proprio l'inettitudine di Cameron potrebbe risolvere.
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