Dopo le liberalizzazioni banali che hanno risparmiato banche ed assicurazioni, il Governo sta cominciando infine ad aprire il dossier lavoro. Le proposte sul piatto sono diverse, dall'impraticabile flex security - che declinata all'italiana sarebbe molto flex e zero security, vista l'impossibilità di reperire le risorse necessarie - alla proposta Boeri-Garibaldo che si propone di ridurre la giungla dei contratti atipici e riportare un pò di uniformità nel mercato del lavoro.
La proposta, come viene presenata, vorrebbe ridurre la disparità di trattamento tra giovani precari e "anziani" protetti dall'articolo 18. In breve, la proposta è dare un contratto unico di entrata al lavoro di 3 anni, con poche garanzie, salario basso e protezioni ridotte, che diverrebbe poi garantito e stabile dopo 36 mesi.
Peccato che questo avverrà in rarissimi casi. Se pensiamo al turnover di questi ultimi 20 anni, possiamo capire che in moltissimi lavori il contratto sarà terminato prima della fine del "periodo di prova", mantenendo così i salari bassi ed i lavoratori deboli. E' esattamente il contrario di quello che serve al paese. Con pochissimo investimento in capitale umano e con produttività bassissima, il mercato del lavoro italiano ha bisogno di una riforma che fidelizzi il rapporto tra impresa e lavoratore per permettere un rilancio qualitativo della nostra industria (ed anche dei servizi!) invece che basarsi semplicemente su una rivisitazione del super-sfruttamento.
La proposta Boeri potrebbe aver senso in paesi caratterizzati da vero investimento in capitale umano: una volta che le imprese spendono per formare il lavoratore avranno pochi incentivi a licenziarlo. Ma questo non è certo il caso dell'Italia, economia tecnologicamente arretrata dove anche il settore pubblico ed addirittura l'istruzione sono caratterizzati dal precariato selvaggio.
Insomma, una riforma che oltre a non risolvere il problema del precariato darebbe un colpo durissimo al rilancio della nostra economia.
La proposta, come viene presenata, vorrebbe ridurre la disparità di trattamento tra giovani precari e "anziani" protetti dall'articolo 18. In breve, la proposta è dare un contratto unico di entrata al lavoro di 3 anni, con poche garanzie, salario basso e protezioni ridotte, che diverrebbe poi garantito e stabile dopo 36 mesi.
Peccato che questo avverrà in rarissimi casi. Se pensiamo al turnover di questi ultimi 20 anni, possiamo capire che in moltissimi lavori il contratto sarà terminato prima della fine del "periodo di prova", mantenendo così i salari bassi ed i lavoratori deboli. E' esattamente il contrario di quello che serve al paese. Con pochissimo investimento in capitale umano e con produttività bassissima, il mercato del lavoro italiano ha bisogno di una riforma che fidelizzi il rapporto tra impresa e lavoratore per permettere un rilancio qualitativo della nostra industria (ed anche dei servizi!) invece che basarsi semplicemente su una rivisitazione del super-sfruttamento.
La proposta Boeri potrebbe aver senso in paesi caratterizzati da vero investimento in capitale umano: una volta che le imprese spendono per formare il lavoratore avranno pochi incentivi a licenziarlo. Ma questo non è certo il caso dell'Italia, economia tecnologicamente arretrata dove anche il settore pubblico ed addirittura l'istruzione sono caratterizzati dal precariato selvaggio.
Insomma, una riforma che oltre a non risolvere il problema del precariato darebbe un colpo durissimo al rilancio della nostra economia.
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