Friday, 28 October 2011

Flessibilità, licenziamento, crescita?

Quindi questo sarebbe il famoso decreto sviluppo, il piano che aspettavamo da inizio legislatura, che dico, ormai da inizio secolo. Ed infatti viene riproposto tale e quale il piano di 10 anni, licenziamento indiscriminato, senza giusta causa. Per ragioni economiche.
Cioè, se una impresa va male, può disfarsi dei lavoratori anche se a contratto indeterminato. Chi saranno gli sfortunati? Forse i più anziani e meno produttivi che non avranno poi possibilità di rinserirsi nel mercato del lavoro. Forse quelli che più disturbano, i sindacalizzati che son quelli che disturbano la produzione e che quindi comportano costi aggiuntivi. Altro che giusta causa!
Il fine, ovviamente, giustificherebbe i mezzi. Più flessibilità in uscita dovrebbe diventare più flessibilità in entrata, con le imprese pronte finalmente ad assumere sapendo che, in caso di crisi, potrebbero licenziare. Ma è un sillogismo senza fondamento. Negli ultimi 15 anni, le imprese hanno assunto di più, pur sapendo di poter disfarsi senza problemi dei nuovi assunti, tutti precari? No.
Hanno semplicemente rimodulato la loro produzione in maniera da comprimere salari e costi per competere sul prezzo. Una gara contro i poveri del mondo che ci penalizza comunque e che ha segnato la scarsa crescita economica del paese.
Ora si ritorna a battere sullo stesso tasto. Se nel 2001, in piena orgia neo-liberista, si poteva almeno cercare di giustificare la contro-riforma nel mercato del lavoro, oggi, nel 2011 sembra semplicemente una scelta senza senso. Il modello liberale ha mostrato tutti i suoi limiti che nascono, soprattutto, nel mercato del lavoro. I bassi salari americani, colpa soprattutto della mancanza di garanzie contrattuali, hanno creato il debito privato e la crisi finanziaria. I mercati più liberali, quelli anglosassoni sono quelli più diseguali e con meno mobilità sociale.
Si parla, a sproposito di flex-security, ma qui c'è solo il flex, senza security. Security che richiederebbe molti soldi, che non abbiamo.
Dare la possibilità di licenziare in tempo di crisi, è un suicidio economico e sociale. Per una volta ha ragione Bonanni: è una istigazione alla rivolta

Monday, 24 October 2011

C'è poco da ridere

Il sarcasmo e l'ilarità del duo Sarkozy-Merkel sono davvero fuori luogo. Lungi da me, chiaramente, difendere il grottesco Berlusconi, impresentabile in Europa almeno tanto quanto lo dovrebbe essere in Italia, e preoccupato più di donnine che di conti pubblici.



Ma il dramma europeo va ben oltre la clownesca e patetica farsa italiana. Dopo un anno siamo ancora alle vecche ricette, a tirarsi i capelli ed impartire lezioni senza avere nessun piano consistente. E le colpe sono ben più tedesche (ed in parte francesi) che italiane. Se ci si assume il compito e l'onore di guidare l'Europa con un direttorio del Reno, ci si deve poi assumere le responsabilità e l'onere di produrre risultati. Al momento inesistenti.
Il vertice europeo ha, di nuovo, deciso di ricapitalizzare le banche. Cioè tutti gli istituti di credito in difficoltà e che non saranno capaci di trovare le risorse sul mercato si vedranno siringati nei loro conti 108 miliardi di euro. Senza condizioni. Mentre in Grecia per mollare 8 milardi di aiuti si è costretto il Parlmento ad abolire il contratto nazionale. 
Si dirà, ma si danno pure soldi al fondo salva-stati e, forse (ma solo forse), si raggiungerà l'accordo sull'haircut del debito greco, con sconti fino al 50-60%  su quello che la Grecia dovrebbe pagare. Vero, peccato che da una parte le perdite che le banche patiranno (e che la Francia ancora vuole soltanto volontarie, cose da pazzi) verranno comunque ripianate dallo stesso fondo salva-stati. E che i fondi che l'Efsf darà alla Grecia saranno comunque utilizzati solo per pagare indietro i debiti contratti sempre col settore creditizio. Finiamola con sta farsa, il fondo è solamente salva-banche, altro che salva-stati.
Quando Merkel e Sarkozy cominceranno a fare la lezione alle loro banche, a farle fallire per aver intrapreso investimenti rischiosi ed a mettere finalmente in regola l'industria finanziaria europea avranno le carte in regola per venire a dettare le politiche pubbliche dell'Italia e della Grecia. Ma al momento sono solo meno ridicoli di Berlusconi, non certo più credibili.

Thursday, 20 October 2011

post-democrazia

Le reazioni scomposte del dopo 15 Ottobre sembrano confermare una tendenza ormai consolidata, la riduzione dei diritti democratici. In Italia, lo sappiamo, la FIAT cerca di ledere il diritto di sciopero. Ora il sindaco di Roma ed il governo tentano di ridurre il diritto di manifestare. Addirittura Maroni lo fa' con una proposta odiosa e classista, solo i ricchi possono manifestare presentando adeguate fidejussioni.
La precarizzazione del lavoro e la distruzione sistematica del sistema educativo in questi decenni hanno gia' creato una generazione di cittadini di serie-b, con eguali diritti ma poche possibilita' di esercitarli. Ora si passa ad altro, attaccando direttamente i diritti fondanti della democrazia. Non puo' essere casuale che avvenga in un momento in cui i Parlamenti vegono esautorati e sostituiti da organismi internazionali non eletti.
D'altronde Dani Rodrik nel suo recente Globalization Paradox ha spiegato che esiste un trilemma: non si puo' avere allo stesso tempo democrazia, globalizzazione (dei mercati finanziari) ed indipendenza nazionale. Piu' in generale, fino ad ora globalizzazione e democrazia erano state tenute insieme dal ricorso all'economia del debito (salari bassi compensati dall'accesso al credito). Ma in una situazione di crisi (siamo senza soldi, ha detto Berlusconi), non e' possibile continuare a mantenere istituzioni economiche che difendono il capitale contro il lavoro (e polarizzano il reddito) ed istituzioni democratiche. La maggioranza della popolazione, come il caso greco chiaramente dimostra, non puo' essere costretta ad accettare austerita', rigore e diseguaglianza sociale.
La lotta finale tra capitalismo e democrazia e' appena iniziata e purtroppo, per ora, il capitalismo sta vincendo.

Tuesday, 18 October 2011

Democrazia, protesta e violenza

Oggi mi permetto una digressione, ma neanche tanto chè si parla pur sempre di economia politica. Il tema del giorno rimane sempre la violenza di Sabato. Premetto che non mi piacciono gli spaccavetrine, anche se penso che i problemi veri siano altrove e che la violenza in questi casi abbia, comunque, sempre un connotato politico, anche se rozzo, e che quindi non ci si possa limitare alla condanna. Nel vasto dibattito che ne è seguito mi è stato fatto notare da un amico che la violenza non può essere mai giustificata quando si dispone, come in Italia, del diritto di voto e di sciopero.
E' un argomento che ha una sua certa validità e non va sottovalutato. In astratto è giustissimo, ma lo è davvero nel concreto della situazione italiana? Ora, lasciamo da parte per un momento il fatto che in Italia il diritto di sciopero è sotto attacco (v. caso Fiat), e così lo sono fondamentali diritti (v. possibilità di licenziare a piacimento e fine della contrattazione nazionale). Rimane però il fatto che si ha la possibilità di votare per cambiare le cose. Purtroppo, non è molto vero. Non lo dico da estremista, ma da osservatore. Per tutta l'estate (e per tutti gli ultimi 2 decenni, almeno) si è detto che bisogna fare questo e quello per soddisfare i mercati, si è detto che i mercati domandano e noi dobbiamo rispondere. Ma i mercati NON sono una parte integrante della nostra democrazia, perchè non votano. Eppure le loro richieste vengono prima di quelle degli elettori. Già questo ci dice che la qualità della nostra democrazia è compromessa e che il diritto di voto non è più, ahimè, importante come era una volta.
Non è finita: la democrazia, se vogliamo andare oltre una definizione giuridica, non è solo libere elezioni. La democrazia è un sistema politico che garantisce le minoranze, le include nell'arena politica, le trasforma in cittadini. Per definizione, dunque, è un sistema in parziale contrapposizione al mercato perchè deve ridistribuire risorse in maniera da includere, mentre il mercato tendenzialmente esclude (in nome dell'efficienza, si diceva una volta). Ma le democrazie attuali, prese in ostaggio dai mercati, non includono. Come dicevo ieri, non a caso le violenze avvengono nei ghetti neri americani, nelle banlieues francesi, i luoghi principi dell'esclusione. Ed il lavoro, in una società di mercato, è un elemento chiave della cittadinanza, e la mancanza di lavoro è, a tutti gli effetti, una ghettizzazione, la trasformazione in cittadino di serie B.
Se quindi una democrazia esclude, se il diritto di voto viene ridotto a feticcio, come possiamo soprenderci dell'esplodere della violenza? Il che, ovviamente, non vuol dire non condannarla. Ma spiegarla. E capire che non saranno le leggi speciali del duo Maroni-Di Pietro a fermarla. Ha dunque ragione Parlato quando dice che la violenza era inevitabile e che anzi potrebbe essere istruttiva. Se soltanto chi avesse gli occhi per vedere li aprisse...

Monday, 17 October 2011

drago ribelle

La sorpresa di Sabato, a poche ore dalla manifestazione degli "indignados" è stato l'intervento del governatore uscente della Banca d'Italia nonchè governatore in pectore della BCE, Mario Draghi. Dimostrando grande sprezzo del ridicolo, Draghi ha espresso la sua solidarietà verso i manifestanti. I giovani hanno ragione ad essere indignati, ha sostenuto, anche lui un drago ribelle.
E per bacco. Davvero ha ragione chi protesta? E' stata una folgorazione di Sabato o una presa di coscienza graduale? Si tratta di una domanda legittima se si tiene in conto che nel 2006 Draghi è stato messo a capo del Financial Stability Forum da cui ha assistito alla crisi finanziaria senza apportare nessuna riforma di rilievo al sistema finanziario. Come banchiere centrale, inoltre, continua a elargire credito alle banche in difficoltà nonostante dopo il 2008 si fosse detto che ciò non sarebbe più stato possibile. Non solo: questa estate Draghi, insieme al governatore Trichet ha scritto una lettera in cui si chiedeva la fine della contrattazione collettiva e la privatizzazione dei servizi pubblici. Sbaglierò, ma non paiono proprio le azioni di qualcuno che ha qualcosa da condividere con la piazza indignata.
La parole di Draghi sembrano, piuttosto, un atto di ipocrisia ben calcolata. Il grande capitale, che non ha scopi elettorali e non deve dunque motivare nessun elettore, non cerca lo scontro aperto, ben sapendo che in una situazione fluida come quella attuale, ci sono rischi per tutti. Si tenta di far passare il concetto che anche i grandi banchieri di stato sono vittime della situazione di crisi e non protagonisti. Si rimanda sempre alle forze della speculazione, che sembrano sempre entità metafisiche contro cui, in definitiva, ci si può indignare ma nulla si può fare. Ovviamente Draghi non è il capo della speculazione, ma le sue responsabilità non possono essere taciute. Nè si possono convenientemente scordare le ricette economiche del governatore, contro il lavoro e a favore del capitale.
Se Draghi volesse davvero divenire un drago ribelle, dal primo Novembre, giorno in cui assumerà la carica di governatore della BCE, ha una occasione irripetibile. Non la sprechi, altrimenti faccia almeno il favore di tacere.

Friday, 14 October 2011

Qualcuno aveva gia' capito tutto

Mi hanno segnalato un bel video, da Quinto Potere, che risale a 35 anni fa e che risponde ad alcune delle domande che avevo posto ieri


Si tratta di qualcosa di drammaticamente attuale. Allora sembrava una esagerazione cinematografica, ma visto nel 2011...
  • "non viviamo piu' in un mondo di nazioni ed idelogie, il mondo e' un insieme di corporazioni, inesorabilmente regolato dalle immutabili, spietate leggi del business"
  • "i nostri figli vivranno....per vedere quel mondo perfetto, in cui non ci saranno ne' guerra ne' fame ne' oppressione ne' brutalita', una vasta ed ecumenica societa' finanziaria per la quale tutti gli uomini lavoreranno per creare un profitto comune, nella quale tutti avranno una partecipazione azionaria"
Sembrano i deliri di qualche neoliberista invasato, sembra la fine della storia di Fukuyama. O forse sembra il mondo di oggi, in cui purtroppo rimane qualche residuo di guerra, fame ed oppressione, ma senza dubbio nella giusta direzione per diventare una vasta ed ecumenica societa' finanziaria. Il totalitarismo liberista.

Thursday, 13 October 2011

Alcune semplici domande

Ovunque si continua a parlare di ricapitalizzazione delle banche europee per evitare una nuova crisi bancaria a seguito del default greco (che avverra').
Sicuramente in questo momento e' il minore dei mali, ma la domanda rimane: perche' bisogna dare soldi pubblici alle banche a rischio fallimento e non alle imprese? perche' non alla scuola? alla sanita'? alle famiglie? Che razza di liberalismo e' un sistema in cui le banche, private, non hanno nessun vincolo di bilancio perche' garantite dal pubblico?
Ma soprattutto, se le banche possono non pagare i propri debiti (li paghiamo noi) perche' le banche stesse esigono di riscuotere i propri crediti (sempre con noi)? Perche' ho visto l'altra sera all'Infedele una donna la cui busta paga era ridotta a 40 euro perche' la banca prelevava alla fonte il suo credito?
Gia', perche' le corporation sono piu' importanti della dignita' umana?

Tuesday, 11 October 2011

Vietare il condono in Costituzione

Questa estate la trojka europea ha deciso che i paesi poco affidabili (!) del continente debbano impegnarsi solennemente e legislativamente (in Costituzione!) a mantenere il pareggio di bilancio. L'idea è balzana e fondamentalmente inapplicabile - e trasformerebbe la Corte dei Conti in Corte Costituzionale - ma mi ha ispirato un proposta simile. Vietare in Costituzione il ricorso al condono.
Il condono - altrochè il deficit di bilancio - è la cifra dei governi imbelli, cialtroni e furfanteschi, ogni riferimento al nostro attuale esecutivo è fortemente voluto. Sono un refrain della nostra povera repubblica, una democrazia in cui chi fa il furbo è sempre stato premiato mentre gli onesti prendono bastonate. Il condono è la legalizzazione del furto ex post. Prima evado, prima costruisco una casa senza i permessi, poi aspetto cheto cheto di pagare una piccola multa per regolarizzarmi. L'abdicazione del potere statale.
Dunque il condono fà eticamente schifo. Ed è incredibilmente anti-liberale (lo imparassero i fantomatici liberali alla carta di casa nostra) in quanto favorisce la concorrenza sleale, altro che mercato!
Ma è anche un suicidio economico. I condoni da prima repubblica erano soprattutto prebende date a certi gruppi sociali di riferimento dei partiti al potere. Nella seconda repubblica, in costante emergenza di bilancio, si usano i condoni per reperire risorse una tantum per far sembrare in ordine i conti.
Già, ma il condono è una delle principali cause del nostro dissesto finanziario! Per ogni lira o euro aggiuntiva raccolta col condono, ne avremo 10 o 100 in meno nei prossimi anni. Evadere è razionale per ognuno che può farlo. Oggi non pago 100, domani pagherò 1 di multa. E il condono si auto-alimenta. Meno tasse si pagano, peggiori saranno i  conti pubblici, più urgenti saranno altri condoni nel futuro. Come in effetti è sempre stato. Prima di sostenere i tagli a scuola, sanità, pensioni facciamo due conti: l'economia sommersa (in nero, illegale) vale tra il 30 ed il 40% del nostro PIL. Con il 30-40% in più di risorse ogni anno avremmo conti miglior di quelli tedeschi.
Dunque vietiamo il condono in costituzione. Nessun governo potrà più farvi ricorso, gli evasori (parassiti sociali per il governo che vuole premiarli) sapranno che non potranno più sanare le loro posizioni con piccole multe. Non risolverà il problema dell'evasione, ma quantomeno si smetterà di incentivarla.

Wednesday, 5 October 2011

"Non siamo l'India e non diventeremo l'India"

Così pare che George Papandreou, primo ministro greco, abbia reagito alla richiesta della BCE di diminuire il salario minimo. Ma ci sono pochi dubbi che, in realtà, l'India sia il modello cui ci spingono la Banca Centrale e gli economisti neo-liberali.
Proprio in Grecia si licenzieranno 30mila dipendenti pubblici. La scusa ufficiale è che si riducono i costi del settore pubblico, ma è ovvio che non ci saranno effetti benefici. Più disoccupazione vuol dire meno consumi, meno investimenti, recessione ancora più ripida con conseguente aggravio del deficit dello stato. La verità è un'altra. Licenziamenti e salari più bassi sono la risposta che il Capitale intende dare alla crisi europea. Quello che Marx chiamava "esercito industriale di riserva" è ancora un tema attualissimo: più disoccupazione, salari più bassi, industrie che ri-diventano competitive puntando sull'abbassamento dei costi, cioè dei salari. Esattamente il modello indiano.
Da noi la situazione non è migliore ed il governo italiano punta alla libertà di licenziamento per le imprese. La BCE chiede la fine della contrattazione collettiva e che il salario si adatti alle necessità dell'industria. Non si ragiona in termini strategici, non si dice che da quando il lavoro è diventato flessibile, anzi, precario, la produttività è calata - i padroni non investono in capitale umano, trasformato in merce usa-e-getta, e l'industria (italiana o greca, poco cambia) non è più industria di avanguardia. Compete, appunto, con l'India. E con l'India non si compete sulla qualità, ma sui prezzi.

Tuesday, 4 October 2011

Oligarchi

Per un paio di decenni il termini oligarchi e' stato associato ai nuovi ricchi russi che si erano arraffati le ricchezze dell'ex Unione Sovietica, con mezzi spesso criminali. Oligarchi erano anche le cricche sudamericane o le grandi industrie della Corea e del Sud Est Asiatico. E forse un oligarca era Berlusconi. Ma non si e' mai pensato di usare il termine oligarchia per riferirsi agli Stati Uniti.
Certo, non volevamo vedere quello che, invece, i numeri ci mettevano sotto il naso. Hacker e Pierson ci danno qualche esempio:
  • Nel 2004, l'1% più ricco delle famiglie americane possedeva una ricchezza netta di quasi 15USD milioni
  • Le 400 famiglie americane più ricche possedevano 3.9UDS milardi (!)
  • L'80% più povero aveva una ricchezza netta di 82.000 UDS
  • Il 40% più povero si doveva accontentare di 2.200 USD, sì, duemila e duecento dollari
  • Il 17% più povero aveva una ricchezza negativa, cioè aveva debiti - non c'entrano i mortgage fino a chè il valore della casa è superiore al prestito contratto
Che la società americana non distribuisse equamente il reddito lo sapevamo, ma questi numeri sono incredibili. La ricchezza finisce solo nelle mani di pochi mentre agli altri restano le briciole. La dinamica del reddito è simile a quella della ricchezza. Negli anni tra il 1979 ed il 2007 il reddito disponibile per la parte più povera della popolazione è diminuito in termini reali quando aggiustato per le ore lavorate (solo l'aumento delle ore di lavoro ha compensato il calo dei salari), ed è rimasto stagnate per la middle class. Mentre l'1% più ricco ha visto aumentare le proprio entrate del 256% e lo 0,1% ha visto il reddito sestuplicato - da 4UDS milioni nel 1979 a 24.3UDS milioni nel 2007.
Questo prima della crisi, ora le cose sono anche peggiori. Ci si aspetterebbe però che il financial meltdown del 2007 avesse portato consiglio. Invece il governo del "progressista" Obama rifiuta la Tobin Tax, mentre le banche americane rifiutano anche le riforme più timide per rivedere la loro governance. Non è solo la ricchezza a creare una oligarchia, ma il suo peso politico.