Friday, 30 November 2012

Il problema del capitalismo italiano

Sembra ovvio a dirsi, ma è la produttività. Anche oggi riprendo un ottimo grafico di Krugman:



fonte: http://krugman.blogs.nytimes.com/2012/11/26/whats-the-matter-with-italy/


Un problema che ci portiamo avanti dall'inizio della seconda Repubblica. I motivi possono essere tanti, a cominciare dalla taglia extra-small delle imprese italiane. I fatti, comunque, dicono che la globalizzazione, la creazione del mercato unico europeo e la mercatizzazione dell'economia hanno affossato la nostra industria. Le colpe andrebbero equamente distribuite tra capitalisti che sono in realtà rentiers, che non hanno investito in ricerca e sviluppo, che hanno trasformato la flessibilità in precarietà;  sindacati, che hanno preferito un modello tutto italico di concertazione neo-corporativista, che in nome dell'unità sociale ha fondamentalmente sottoscritto una repressione salariale anche a fronte di profitti enormi delle industrie (che di conseguenza non hanno mai trovato stimoli adeguati per l'investimento); e naturalmente della politica, incapace di garantire una corretta politica industriale proprio nel momento di cambiamenti sistemici portati dall'apertura delle frontiere e dall'accrescersi della concorrenza capitalista - una politica che dunque teneva tasse alte senza fornire servizi e welfare adeguati alla nuova situazione economica.
Eppure, davanti all'evidenza dei numeri, ancora oggi nessuno è in grado di prendersi le proprie responsabilità - ed è dunque difficile pensare che ci possa essere una via d'uscita dietro l'angolo. Il caso dell'accordo sulla produttività è lampante in tal senso. Non solo mina la contrattazione nazionale ma agisce comunque solo sui costi, riducendo il cuneo fiscale. Che in generale è una buona idea per le imprese in crisi, ma non fa nulla per modificare l'andamento della produttività del lavoro. Per fermare il declino bisogna partire anche e soprattutto da lì.

Tuesday, 27 November 2012

Ma non è vero che la sanità pubblica non è sostenibile

Ecco il tormentone che ci perseguiterà per i prossimi anni: la sanità. Monti ha aperto il fuoco, assai poco amico, contro la sanità pubblica con un vecchio classico che i liberali usano sempre quando si tratta di attaccare i servizi pubblici - non sono sostenibili. E per bacco. Deve essere come per le pensioni, insostenibili per 20 anni fino a che non abbiamo deciso di tagliarle - anzi per la verità sono 20 anni che le tagliamo e non basta mai. Ed intanto abbiamo creato un bel po' di fondi privati di pensione, privatizzando di fatto la previdenza.
Faremo lo stesso con la sanità? Se dipendesse solo da Monti non c'è da dubitarne. D'altronde è sempre la stessa storia. Lo Stato è inefficiente. La popolazione diventa sempre più vecchia e quindi più bisognosa di cure e non abbiamo soldi per tutti. Qualcosa bisognerà pur fare, magari diamo in mano ai privati il servizio così riduciamo gli oneri per lo Stato. Peccato che come già mostrato in precedenza la sanità privata (americana) sia la più costosa del mondo. Forse viene considerata più sostenibile perché garantisce servizi ottimi ai ricchi e mediocri ai poveri che non possono permettersi un conto troppo salato - ma anche così pagano di più di quello che si farebbe con la sanità pubblica.
Ed allora quale soluzione? Forse basterebbe tassare in maniera seria i redditi più alti e la ricchezza. In un paese in cui oltre il 50% della ricchezza privata è detenuta da una piccola percentuale di oligarchi, ci sarebbero risorse a iosa per garantire un sistema sanitario efficiente, ricco e pubblico. Basta volerlo.

Monday, 26 November 2012

L'ILVA come la Fiat: ecco la voce del padrone

Ecco come funziona il mercato del capitalismo selvaggio. Monopoli naturali privatizzati e messi in mano a rapaci che fanno soldi su soldi. Aziende gigantesche con un potere contrattuale enorme tutte concentrate sulla ricerca del profitto. Per 30 anni ci hanno insegnato e spiegato che è giusto sia così, che è la mano invisibile a governare il mondo e che se lasciamo fare ai capitalisti il loro mestiere tutto funzionerà meglio. Ed il loro mestiere era far soldi, non certo interessarsi di questioni sociali, non certo avere delle responsabilità verso la terra in cui lavorano, verso i lavoratori che impiegano.
Ed ecco i bei risultati di Taranto. Profitti mirabolanti per i Riva, inquinamento per Taranto. Un trade-off inaccettabile ripetuto anche oggi. Se voi ci costringete a rispettare la legge, noi chiudiamo. La vera voce del padrone, quello che in realtà succede ogni giorno in larga parte del mondo. Industriali che ricattano governi e lavoratori, che vogliono pagare meno tasse, che non vogliono diritti sindacali, che pretendono aiuti di stato, etc. Sono i Marchionne, i Riva legati dalla stessa logica: non disturbate il manovratore, al massimo ringraziatelo. Altrimenti chiudiamo baracca e burattini.
Il solito ricatto dei padroni. E pensare che c'è ancora chi dice che tra lavoro e capitale non c'è conflitto. A Taranto lavoratori sul lastrico e bambini morti di cancro. E i Riva con il portafoglio gonfio.

Wednesday, 21 November 2012

Grecia, Italia, Europa: l'austerity non funziona

Nonostante i tagli e le finanziarie lacrime e sangue effettuate in Grecia, la trojka sembra restia a dare altri soldi ad Atene. Si sono infatti resi conto che il piano di rientro dal debito non sta assolutamente funzionando con il debito che, invece di calare, continua a crescere.
E come mai? Normalmente tagli e tassi porterebbero a risparmi per il settore pubblico con una conseguente riduzione di deficit e debito. Ma questo non sta avvenendo. Non in Grecia, non in Italia, perfino non in Germania.
Il motivo, in parte, lo abbiamo visto qualche tempo fa, con gli effetti dei tagli che sono molto più recessivi di quanto inizialmente previsto a causa di un moltiplicatore più ampio di quello calcolato da IMF e OECD. In generale, però, non si è tenuto conto della situazione economica generale che magnifica l'effetto di una politica fiscale restrittiva.
Durante i periodi di espansione economica i tagli fiscali hanno un effetto solo marginale - i loro effetti recessivi possono essere compensati da una politica monetaria espansiva (più denaro in circolazione, tassi di interesse più bassi per aumentare investimenti e consumi). Inoltre i consumi sono solo marginalmente influenzati da una stretta fiscale, perché durante un periodo di boom c'è alto (se non pieno) impiego e le prospettive per il futuro sono buone.
Non è questa la situazione nel periodo attuale. I tassi di interesse sono già vicini allo zero e quindi qualsiasi altro intervento rischia di dimostrarsi inutile (è il caso della liquidity trap in cui qualsiasi intervento di politica monetaria diventa inutile). La disoccupazione è molto alta e dunque i consumi non sono stabili ma in forte calo. Ed a questo si aggiunge che le contemporanee manovre restrittive in tutta Europa hanno un effetto depressivo anche sul commercio intra-europeo, peggiorando ulteriormente la dinamica del PIL.
In un recente articolo Holland e Portes hanno quantificato la differenza dell'impatto dell'austerity in tempi normali rispetto alla situazione attuale. In tutti i paese europei (tranne l'Irlanda) gli effetti sul PIL sono assai peggiori di quelli attesi.
Il che porta ad un paradosso di cui si era già parlato in altre occasioni. L'austerity ottiene esattamente il risultato opposto di quello che si era fissato, aumenta deficit e debito, rendendo il rapporto debito/PIL ancora più insostenibile. Questi sono i risultati riportati da Holland e Portes


Impatto sulla consolidazione del rapporto Debito/PIL (2013)



Lo scenario 1, in nero, illustra quale sarebbe stato l'impatto dell'austerity sul rapporto debito/PIL in tempi "normali", chiaramente una riduzione. In blu, invece, l'impatto atteso per il 2013, in piena recessione economica: un aumento. Il caso più eclatante è la Grecia, che proprio per questo motivo ora rischia di vedersi negata i fondi. Ma l'Italia, come vediamo, si classifica buona seconda in questo ranking dei fallimenti. Come a dire, Monti e i suoi tecnici ci lasciano in una situazione ben peggiore di quella in cui ci avevano presi.






Monday, 19 November 2012

Qualche verità scomoda sul fiscal cliff, tasse e crescita

Con l'avvicinarsi dell'inizio del 2013 sui mercati finanziari sta aumentando la preoccupazione riguardo il cosiddetto fiscal cliff, il burrone fiscale per cui da inizio anno ci saranno una serie di tagli considerevoli accompagnati da un brusco aumento delle tasse - cosa che rischia di portare gli USA in recessione.
Allo stesso tempo soprattutto la destra repubblicana vuole assolutamente che il governo intervenga per ridurre debito e deficit ed insiste perché ci siano tagli consistenti alla spesa sociale mentre le tasse non dovrebbero essere alzate. Al solito si sostiene che le tasse basse, soprattutto per i ricchi e per le corporations favoriscono gli investimenti e la crescita economica.
Purtroppo per repubblicani e neo-liberal queste non sono altro che congetture, teorie buone solo sulla carta non comprovate da alcuna realtà.
I grafici sottostanti, frutto di uno studio del Congressional Research Service, infatti, raccontano un'altra storia.


Andamento dell'aliquota massima sulle persone fisiche e sui capital gains, USA 1945-2010 



Come si vede chiaramente dalla fine della Seconda Guerra Mondiale le tasse per i più ricchi son scese vertiginosamente da oltre il 90% fino al 38% corrente. Le tasse medie sono ancora più basse. E quale è stato l'effetto sulla crescita economica.



Crescita del PIL e Aliquota massima su persone fisiche e capital gains 



Si può notare che un aumento dell'aliquota massima (più tasse per i ricchi) non ha nessun effetto sulla crescita. Addirittura tasse più alte sui capital gains paiono favorire una crescita superiore.
E' dunque evidente che le richieste dei Repubblicani sono assolutamente strumentali. Il loro scopo è salvaguardare i redditi dei più ricchi, tagliando le spese sociali e facendo pagare ai più poveri il debito creato dalla crisi, dalla guerra e dai tagli fiscali di Bush.
La speranza dunque è che Obama non capitoli. L'unica strada maestra per diminuire il deficit è aumentare le tasse per i più ricchi. E' giusto eticamente, ma è anche e soprattutto corretto economicamente.








Friday, 16 November 2012

Ancora sull'austerity e sui calcoli fatti male

La settimana scorsa avevo fatto notare come l'IMF avesse sbagliato i calcoli sul moltiplicatore keynesiano. Oggi anche Krugman riprende questo fatto e aggiunge un interessante grafico sugli errori fatti pure dall'OECD



Nel grafico si confronta la crescita economica prevista dall'OECD tra 2009 e 2011 e i risultati effettivi. Nel caso della Germania - che non ha applicato l'austerity - la crescita economica è stata sottostimata. Negli altri casi, e soprattutto in tutti i PIIGS, è stata grossolanamente sottostimata (in Grecia e Portogallo, i 2 paesi più in difficoltà e con il più forte aggiustamento fiscale, gli errori sono macroscopici).
A questo punto occorre farsi 2 domande:
- come mai tutti i centri economici "mainstream" hanno fatto gli stessi errori? Si tratta di inadeguatezza tecnica e culturale, cioè sono semplicemente scarsi - e se ne dovrebbe dedurre che forse dovremmo smettere di ascoltarli o quantomeno di prenderli come oracoli? Oppure esiste un più largo disegno politico-economico per far passare l'austerity a prescindere dalla sua effettiva utilità?
- come mai davanti a questi dati concreti ancora non si rigetta in toto l'austerity? In Italia e Spagna si continua a tagliare, in Grecia la UE ha dato 2 anni in più per ripagare i debiti ma nessun soldo (ricordiamo che i tanto famigerati aiuti europei sono stati dati per pagare i debiti, non per rilanciare l'economia). Qualcuno potrebbe spiegare perché?

Tuesday, 13 November 2012

Hollande, l'economia e le promesse elettorali tradite

Se qualcuno si aspettava che con Hollande tornassero i socialisti vecchia maniera di sicuro avrà ormai cominciato a ricredersi. Il governo socialista sta inanellando una serie di provvedimenti che poco, se non nulla, hanno di sinistra. E che tradiscono in maniera lampante le promesse effettuate in campagna elettorale.
Prima l'aderenza quasi maniaca al fiscal compact denunciato cui ci si era tanto opposti, e l'asse presto reinstaurato con la Merkel - questo blog lo aveva messo tra le ipotesi più concreta ancora prima che Hollande vincesse le elezioni.
Ora, sulla spinta del rapporto Gallois, provvedimenti economici decisamente pro-impresa, mentre in campagna elettorale si era negato decisamente ce ne fosse bisogno. Poi, una volta al governo, si è scoperto che esiste un problema di competitività dell'industria francese. Vero, se guardiamo all'andamento dell'export, anche se difficile valutarlo così acriticamente in un periodo di recessione come questo, in cui i consumi calano e con quelli il commercio estero. Ma ammettiamo pure che si possa intervenire per aiutare l'industria. Hollande ha varato quasi 20 miliardi di incentivi alle imprese che investono e assumono, diminuendo il costo del lavoro di quasi il 6%.
Peccato che per finanziare gli incentivi fiscali si alzi l'IVA (altra cosa fortemente negata in campagna elettorale), così gli aiuti alle imprese le pagano i consumatori. Ed il resto via ad altri tagli come se quelli già fatti in precedenza non fossero bastati. Insomma, pagano sempre gli stessi, sia che ci siano i socialisti che i conservatori. Per l'amor del cielo, sempre meglio dell'immobilismo italiano in cui l'incremento dell'IVA non viene nemmeno usato per rilanciare la crescita. Ma è veramente venuta l'ora di girare pagina. Rilanciare la produzione (ed i profitti) deprimendo i consumi dei cittadini non è certo un atto di coraggio.

Friday, 9 November 2012

Economisti da bocciare

Gli economisti, a maggior ragione quelli dell'IMF, dovrebbero sapere che la matematica non è un'opinione. Se poi pensiamo che i neo-liberisti hanno cercato di convincere il mondo che l'economia non è una scienza sociale, ma una scienza esatta, beh gli errori macroscopici dovrebbero allora davvero essere inaccettabili. Soprattutto se consideriamo l'impatto di questi errori.
Quando fu imposto il pacchetto austerity per la Grecia, all'IMF calcolarono i tagli sulla base del loro impatto sulla crescita futura. Il ragionamento lo conosciamo già. Ridurre la spesa pubblica, riconquistare la fiducia nei mercati, rilanciare l'iniziativa privata. E con i tagli convenuti (meglio dire, imposti) si era detto, nel 2010, che la Grecia sarebbe stata ancora in recessione per il 2011, ma avrebbe perso solo l'1% del prodotto interno lordo. E nel 2012 sarebbe ripartita la crescita. Infatti. L'anno dopo il Fondo rivide le sue stime per il 2011 calcolando un -3%. In realtà -7%. E poi nel 2012 si sono riviste le stime per l'anno corrente, indicando una recessione vicina al 5%. Probabilmente sarà di nuovo -7%.
Il problema principale è che è stato calcolato male il moltiplicatore, ovvero gli effetti che tagli (o, al contrario, spese aggiuntive) hanno sull'economia. Il moltiplicatore è un'indispensabile strumento di analisi economica introdotto da Keynes che spiega quali siano gli effetti finali delle politiche macroeconomiche del governo.

Nella sua versione più semplificata, il moltiplicatore può essere rappresentato in questa maniera:
1/(1-c)
In cui c è la propensione marginale al consumo.
Dunque il valore di questo moltiplicatore dipende dalla propensione marginale al consumo, ovvero quanto viene consumato del reddito e come questo si ripercuote sull'economia. In pratica, un'aumento di spesa pubblica avrà un maggiore impatto sulla domanda aggregata se i destinatari di questa nuova liquidità ne consumeranno una parte consistente (più alto è c, più alto il valore del moltiplicatore), che quindi aumenterà i consumi, mettendo in circolazione nuova liquidità nell'economia tutta, stimolando a ripetizione altri consumi (o investimenti) ogni volta che il denaro passerà di mano. Ovviamente il contrario avverrà in caso di tagli o maggiori tasse (austerity).

Il Fondo Monetario in Grecia e altrove ha calcolato che il valore del moltiplicatore si attestasse tra 0.5 e 1.2. In realtà il suo valore è compreso tra 0.9 e 1.7, quindi gli effetti dei tagli sono notevolmente magnificati. Ed ecco che l'impatto recessivo dell'austerity diventa completamente fuori controllo. Perché si sono fatti questi errori? Ovviamente non è mai facile avere misure esatte, anche se in realtà esistevano già diversi studi che indicavano che il moltiplicatore fosse compreso tra 1 e 1.5. Nel clima politico pro-austerity si è preferito credere a stime diverse o quantomeno non si è voluto procedere con un po' di cautela. Per il Fondo, un mero errore di calcolo. Per i cittadini greci, e non solo, disoccupazione e povertà. Forse è giunta l'ora di cambiare?

Thursday, 8 November 2012

Ad Atene è sempre la stessa storia: botte e tagli

Cambia il governo, rimane lo stesso approccio. Samaras e i suoi fratelli - inclusi gli ex comunisti di Sinistra Democratica - avevano promesso di rinegoziare il pacchetto di tagli imposto dall'Europa. Il premier aveva pure fatto il giro della cancellerie col cappello in mano. Niente da fare. Altro giro, altro regalo. Innalzamento delle pensioni, licenziamento degli statali, riduzione di pensioni e stipendi, blocco del turnover (come se ce ne fosse bisogno: senza soldi e con l'innalzamento dell'età pensionabile, prima che si assuma nel settore pubblico passerà un decennio). Questo perché l'Europa ha detto che bisogna ridurre debito e deficit - ahimè, grazie alla recessione imposta da Berlino e Bruxells debito e deficit sono  ormai fuori controllo e stanno continuando a salire vertiginosamente, il debito sfiorerà il 190% del PIL quest'anno e lo sfonderà l'anno prossimo. Ribadiamolo: grazie alla UE e non per colpa dei cittadini greci.
I nostri governi se ne fregano altamente che i nazisti stiano diventando una forza politica rilevante - le cose andranno peggio ora dopo che anche gli stipendi dei poliziotti, per la prima volta dall'inizio della crisi, sono stati tagliati. Non basta: la maggioranza di Samaras è andata in pezzi: nel PASOK ed in Nuova Democrazia ci sono stati diversi ribelli che hanno votato contro i nuovi tagli. E Sinistra Democratica si è astenuta. Risultato: pacchetto approvato con 153 voti su 300. Paese ingovernabile, maggioranza alla canna del gas. E in piazza Syntagma idranti, lacrimogeni e manganelli. Chissà se la Merkel si ricorderà della sua infanzia in Germania Democratica. Forse no, almeno lì il lavoro c'era e le pensioni le pagavano.

Wednesday, 7 November 2012

Ma i liberisti di sinistra italiani stavano con Romney....

Vero che la parola liberismo e la parola sinistra mal si conciliano. Ma in fondo erano loro a pretendersi simil-progressisti. Il più famoso era Alberto Alesina, da Harvard, che con il buon Giavazzi, qualche tempo fa, aveva provato a convincerci che il "Liberismo è di Sinistra". E come no? Meritocrazia e non censo, libero mercato contro lobby. Tutti dovevamo sperare in un mercato concorrenziale simile a quello americano. Poi era arrivata la crisi dei subprime.... Ma il nostro ovviamente non si è arreso. Non ha studiato e ha continuato imperterrito su la sua strada. Che dalla sinistra l'ha portato a Romney, ma forse in fondo anche questi repubblicani sono di sinistra e siamo noi a non accorgercene. E quindi sul Corriere ha dato il suo endorsement.
A rincarare la dose dei liberisti di sinistra con Romney ci ha poi pensato l'encomiabile Zingales da Chicago, quello che era andato alla Leopolda da Renzi (ahi ahi ahi) a spiegare anche lui che il merito è di sinistra. E che se ne è uscito con un "Manifesto Capitalista", in cui ci viene nuovamente rispiegato che è il libero mercato ad offrire opportunità e che i veri nemici sono le lobby. Addirittura si parla di degenerazione finanziaria del capitalismo. Ed evidentemente anche lui ha visto in Romney l'alfiere di questa rivoluzione.

C'è qualcosa che davvero mi sfugge. Forse è l'idea di sinistra, forse è l'idea di opportunità. Diamo per buono che almeno Zingales di sinistra non ha mai detto di esserlo anche se (o forse proprio perché) si accompagna a personaggi come Renzi. Ma certo tagliare le tasse ai ricchi che in questi anni sono diventati straricchi non è proprio una cosa progressista. Secondo Alesina meno tasse per i ricchi vuol dire più opportunità per chi studia di più e chi lavora più duramente, ma ci sono studi su studi che spiegano che la diseguaglianza in America non è dovuta all'investimento in capitale umano, ma alle leggi hanno blindato il predominio dei ricchi. Un fatto su tutti: nell'America Repubblicana la mobilità sociale è più bassa che in Europa. Come questo si possa coniugare col merito che Alesina e Zingales predicano è davvero un mistero. 
E poi certo, con Obama l'America sta diventando - scandalo! - una nazione socialdemocratica europea, e allora privatizziamo quel poco di pubblico che c'è nella sanità (ma Alesina vive da troppo tempo in America: la differenza tra la nostra sanità e la loro, per fortuna, è ancora abissale). Se poi i voucher di Romney non bastano, poco male, si farà senza cure mediche. Che poi la spesa (privata) per sanità sia la più alta del mondo (leggi, la più inefficiente, alla faccia del libero mercato), poco conta. Il mercato ha ragione a prescindere, anche quando sbaglia.
Fa poi davvero sorridere che i fustigatori delle lobby si schierino con Romney. Alesina fa di più, ci dipinge un America Obamiana in cui le vere lobby sono i sindacati. Già. I super-pac, le corporation che sostengono i repubblicani, la lobby di Wall-Street che preme per fare quello che vuole, salvo poi essere bail-out dallo Stato, quella va bene, no? Lasciamoli liberi di fare quello che vogliono. E poi che facciamo? Li salviamo di nuovo? Ma non ci avevano detto che bisogna ridurre la spesa pubblica? O quella per salvare le banche va bene e quella per dare cure mediche ai malati no.
Ritorniamo al punto di partenza. Liberisti di sinistra. Ecco.

Friday, 2 November 2012

Marchionne, il venditore di fumo

Ormai non passa giorno senza che Marchionne non faccia parlare di sé. E non certo in termini positivi, almeno dal mio punto di vista. Il suo comportamento anti-sindacale viene sanzionato dalla giustizia italiana, ma lui si inalbera, non si fa dare lezioni di democrazia. E ci mancherebbe, la sua idea di democrazia è quella di una fabbrica senza sindacati. Lavoro (anche se per ora soltanto a parole) in cambio di diritti (quelli tolti subito). E fuori pure la stampa ostile dalle fabbriche, che sai mai fomenti gli operai fannulloni che non si vogliono piegare al padrone. Ma tutto ciò non basta. Va bene, sono obbligato a reintegrare gli operai iscritti alla FIOM. Ed allora fuori altri 19, subito mandati a casa - in fondo non sono io che li licenzio, è tutta colpa della FIOM. Un comportamento vigliacco, poveri contro poveri, lavoratori sindacalizzati additati al pubblico ludibrio perché rubano pane e lavoro ai colleghi. Tale squallore ha addirittura indignato Passera e, incredibile!, pure Lady Fornero, che di licenziamenti facili se ne intende.Sembrerebbe roba da padrone del vapore dell'800, se solo Marchionne fosse un vero industriale. Ma no, lui ha solo la spocchia del padrone, ma senza la capacità imprenditoriale.

Ora cerca di nuovo di vendere fumo, una sorta di nuova Fabbrica Italia. In una intervista sdraiata del Corriere (non a caso sta volta non a firma Mucchetti) annuncia che resterà in Italia, anzi che investe, vuole fare concorrenza ai tedeschi. Mamma mia, addirittura. Quelli che vendono macchine migliori di quella della FIAT a metà del prezzo? Una rivoluzione copernicana. Peccato che nuovamente bisogna solo fidarsi dei suoi proclami. Dettagli non ne dà, ci mancherebbe. Anzi, si riconosce solo un errore, quello di aver annunciato Fabbrica Italia in anticipo. Quando poi le cose non sono andate come previsto (ma è tutta colpa del mercato, la recessione non l'aveva prevista) i suoi denigratori l'hanno "impiccato" sui dettagli cambiati (miliardi di investimenti cancellati, fabbriche che chiudono, cassa integrazione invece di occupazione, dettagli, ovvio).
Quindi nessun dettaglio, solo un annuncio, roba alla Berlusconi dei giorni migliori. A cui, come con Berlusconi, abboccano tutti i tonti, finti tonti o lacchè - a cominciare da quei sindacalisti prese per il naso per gli ultimi 2 anni. Ma attenzione, a legger bene l'intervista si capisce subito che Marchionne sta di nuovo bluffando. Investe (meglio, vuole investire) nell'Italia di Monti, sapendo che, probabilmente, Monti se ne sarà andato nel giro di pochi mesi. Così come i supposti investimenti Fiat.

Thursday, 1 November 2012

L'ultima finanziaria di Monti: più tasse ai poveri

E così è saltata la detrazione IRPEF per i redditi più bassi. Il provvedimento più simbolico è finito nel cestino ma in realtà cambia assai poco. Anzi, nulla. Per settimane governo e maggioranza hanno sbandierato che finalmente era iniziata la diminuzione delle tasse, ma in realtà ad una piccola, piccolissima diminuzione si contrapponeva un aggravio di altre imposte (l'IVA, soprattutto) ed una serie di tagli indiscriminati. La verità è venuta tutta fuori con la marcia indietro del governo: le maggiori entrate per le famiglie che sarebbero derivate dalla riduzione IRPEF erano in realtà totalmente coperte dagli interventi sulle detrazioni fiscali, addirittura retro-attivi ed incostituzionali. Un gioco delle 3 carte, ti do 2  euro e te ne tolgo 1.5 quest'anno e un'ulteriore 1.5 per l'anno scorso. Altro che tecnici, commedianti da strada. Ora l'IRPEF viene lasciata intatta ma gli interventi sulle detrazioni rimangono, seppur non più retroattivi. L'aliquota al 10% dell'IVA non viene toccata, ma quella media passa dal 20 al 21%. Una pesante riduzione sia di salario che di potere d'acquisto per i cittadini, proprio quello di cui c'è bisogno per uscire dalla crisi. Mentre continuano i tagli più odiosi, dall'accompagnamento per gli handicappati al fondo per i malati di SLA. Il famoso governo dell'equità sociale.
Un governo che ha portato il paese in recessione, con i peggiori risultati economici dell'area Euro se escludiamo la Grecia. Mentre gli altri arrancano, noi sprofondiamo. Intanto il debito sale. E tutto quello che Monti, Grilli e Fornero sanno fare è pugnalare alle spalle cittadini, lavoratori e malati. Per poi magari dire che hanno salvato l'Italia.