Monday 21 May 2012

La UE in crisi


I risultati delle ultime elezioni in diversi paesi del continente hanno fatto emergere un forte discontento verso le istituzioni europee. In alcuni casi sono in crescita partiti che rigettano l’idea stessa di Europa unita e la moneta unica, dal Front National francese ai nazisti greci fino al KKE greco ed, in parte, il movimento 5 stelle italiano. In altri, si rafforzano partiti che pur volendo mantenere l’Euro e l’Europa unita, sono sempre più insofferenti alle politiche economiche della UE, come nel caso del Front de Gauche francese, Syriza e diversi altri partiti greci. Lo stesso successo di Hollande in Francia avviene con una campagna molto dura nei confronti delle politiche europee degli ultimi anni, a partire dal fiscal compact.
Questi risultati non possono sorprendere, se si guarda alla situazione economica che attanaglia il Vecchio Continente. Sono due anni ormai che si passa di vertice in vertice per “salvare” la Grecia, salvo poi ritrovarsi con lo stesso problema dopo appena pochi mesi. Intanto il contagio si allarga, dopo Irlanda e Portogallo ora è la Spagna ad essere finita nell’occhio del ciclone. La risposta europea – ma sarebbe meglio dire tedesca – è stata semplicemente: rigore, rigore, rigore. Un rigore che sempre più economisti giudicano in maniera negativa in quanto non solo non ha arginato la crisi, ma anzi, l’ha fomentata.
Fino ad ora, si è scelta una via ideologica, massimalista e spesso punitiva. La Germania, sempre fedele alla sua politica basata sull’ordo-liberalismo ha richiesto agli stati in difficoltà di ridurre il proprio tenore di vita e tirare la cinghia. Si è detto che la Grecia avesse sperperato per anni ed un po’ di austerity l’avrebbe rimessa in ordine. Ma la medicina sta ammazzando il malato e spingendo la penisola ellenica ai margini, se non direttamente fuori dalla UE. E alla Spagna certo non si possono muovere le stesse critiche fatte ad Atene, eppure la situazione economica e sociale sta diventando esplosiva – basta guardare i dati sulla disoccupazione giovanile.




In realtà sono stati sottovalutati alcuni dati importanti, come la perdita di competitività che i paesi del Sud Europa hanno patito dall’entrata in vigore dell’euro rispetto ai propri corrispettivi del Nord.  Problemi strutturali che vanno oltre la retorica delle formiche contro le cicale.



La soluzione prospettata dall’austerity è quella di una deflazione interna dei paesi più in difficoltà che solo così possono recuperare competitività. Ma si tratta di una soluzione vecchia, quella del Gold Standard che fallì miseramente tra le due guerre mondiali proprio in virtù delle tensioni sociali che provocava. Ed una soluzione, per di più, poco democratica, perché nessun paese può essere disposto a votare per la riduzione dei propri salari e l’aumento della disoccupazione.
Insomma, come affermato recentemente dal presidente della Consob, Vegas, la dittatura dello spread sta stringendo la democrazia in un angolo da cui non sembra esserci via d’uscita. E le istituzioni europee, a torto o ragione, si sono fatte portavoce dei desiderata del mercato e del potere degli stati più forti, dimostrando troppa poca attenzione ai bisogni dei cittadini. Anche davanti al rischio di una fine traumatica dell’Europa, ci si continua ostinatamente ad opporre a misure comuni, come gli Eurobond. Eppure paesi come gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, ed il Giappone in passato, hanno situazioni di debito paragonabili se non peggiori a quelle europee, eppure riescono a collocare i propri titoli sul mercato a prezzi bassissimi, più bassi infatti dell’inizio della crisi.
I mercati sembrano infatti consapevoli che uno Stato con il controllo della propria politica monetaria non può fallire e dunque anche livelli di debito molto alti non sono visti con sospetto. Al contrario, quello che si teme in Europa è la recessione e l’illiquidità degli stati europei.
Tutto questo dovrebbe portare ad un ripensamento generale dell’architettura europea.  Una commissione che rappresenti il volere dei popoli sarebbe certamente vista come meno elitaria e prona agli interessi dei mercati. Una Banca Centrale “normale” che garantisca la solvenza degli stati potrebbe riportare la calma sui mercati finanziari. Ed una presidenza vera, eletta e con poteri effettivi, riavvicinerebbe le istituzioni europee ai propri cittadini. Si tratterebbe, senza mezzi termini, di andare oltre ad una unione di stati, per consentire una vera democratizzazione delle istituzioni continentali. L’alternativa, in questi giorni, sembra la disgregazione del progetto europeo, stretto tra rigetto popolare e crisi economica.

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