I risultati delle ultime elezioni in
diversi paesi del continente hanno fatto emergere un forte discontento verso le
istituzioni europee. In alcuni casi sono in crescita partiti che rigettano
l’idea stessa di Europa unita e la moneta unica, dal Front National francese ai
nazisti greci fino al KKE greco ed, in parte, il movimento 5 stelle italiano.
In altri, si rafforzano partiti che pur volendo mantenere l’Euro e l’Europa
unita, sono sempre più insofferenti alle politiche economiche della UE, come
nel caso del Front de Gauche francese, Syriza e diversi altri partiti greci. Lo
stesso successo di Hollande in Francia avviene con una campagna molto dura nei
confronti delle politiche europee degli ultimi anni, a partire dal fiscal
compact.
Questi risultati non possono sorprendere,
se si guarda alla situazione economica che attanaglia il Vecchio Continente.
Sono due anni ormai che si passa di vertice in vertice per “salvare” la Grecia,
salvo poi ritrovarsi con lo stesso problema dopo appena pochi mesi. Intanto il
contagio si allarga, dopo Irlanda e Portogallo ora è la Spagna ad essere finita
nell’occhio del ciclone. La risposta europea – ma sarebbe meglio dire tedesca –
è stata semplicemente: rigore, rigore, rigore. Un rigore che sempre più economisti
giudicano in maniera negativa in quanto non solo non ha arginato la crisi, ma
anzi, l’ha fomentata.
Fino ad ora, si è scelta una via ideologica,
massimalista e spesso punitiva. La Germania, sempre fedele alla sua politica
basata sull’ordo-liberalismo ha richiesto agli stati in difficoltà di ridurre
il proprio tenore di vita e tirare la cinghia. Si è detto che la Grecia avesse
sperperato per anni ed un po’ di austerity l’avrebbe rimessa in ordine. Ma la
medicina sta ammazzando il malato e spingendo la penisola ellenica ai margini,
se non direttamente fuori dalla UE. E alla Spagna certo non si possono muovere
le stesse critiche fatte ad Atene, eppure la situazione economica e sociale sta
diventando esplosiva – basta guardare i dati sulla disoccupazione giovanile.
In realtà sono stati sottovalutati alcuni
dati importanti, come la perdita di competitività che i paesi del Sud Europa
hanno patito dall’entrata in vigore dell’euro rispetto ai propri corrispettivi
del Nord. Problemi strutturali che vanno
oltre la retorica delle formiche contro le cicale.
La soluzione prospettata dall’austerity è
quella di una deflazione interna dei paesi più in difficoltà che solo così
possono recuperare competitività. Ma si tratta di una soluzione vecchia, quella
del Gold Standard che fallì miseramente tra le due guerre mondiali proprio in
virtù delle tensioni sociali che provocava. Ed una soluzione, per di più, poco
democratica, perché nessun paese può essere disposto a votare per la riduzione
dei propri salari e l’aumento della disoccupazione.
Insomma, come affermato recentemente dal
presidente della Consob, Vegas, la dittatura dello spread sta stringendo la
democrazia in un angolo da cui non sembra esserci via d’uscita. E le
istituzioni europee, a torto o ragione, si sono fatte portavoce dei desiderata
del mercato e del potere degli stati più forti, dimostrando troppa poca
attenzione ai bisogni dei cittadini. Anche davanti al rischio di una fine
traumatica dell’Europa, ci si continua ostinatamente ad opporre a misure comuni,
come gli Eurobond. Eppure paesi come gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, ed il
Giappone in passato, hanno situazioni di debito paragonabili se non peggiori a
quelle europee, eppure riescono a collocare i propri titoli sul mercato a
prezzi bassissimi, più bassi infatti dell’inizio della crisi.
I mercati sembrano infatti consapevoli che
uno Stato con il controllo della propria politica monetaria non può fallire e
dunque anche livelli di debito molto alti non sono visti con sospetto. Al
contrario, quello che si teme in Europa è la recessione e l’illiquidità degli
stati europei.
Tutto questo dovrebbe portare ad un
ripensamento generale dell’architettura europea. Una commissione che rappresenti il volere dei
popoli sarebbe certamente vista come meno elitaria e prona agli interessi dei
mercati. Una Banca Centrale “normale” che garantisca la solvenza degli stati
potrebbe riportare la calma sui mercati finanziari. Ed una presidenza vera,
eletta e con poteri effettivi, riavvicinerebbe le istituzioni europee ai propri
cittadini. Si tratterebbe, senza mezzi termini, di andare oltre ad una unione
di stati, per consentire una vera democratizzazione delle istituzioni
continentali. L’alternativa, in questi giorni, sembra la disgregazione del
progetto europeo, stretto tra rigetto popolare e crisi economica.
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