Personaggio sempre intrigante questo Marchionne. Per un paio d'anni ci ha rintronato con la retorica sulla modernità, lui ci metteva la faccia, voleva investire - addirittura! - 20 miliardi, non chiedeva aiuti di Stato, voleva solo che i lavoratori rinunciassero ad un po' di diritti per riempire le tasche degli azionisti FIAT.
E va beh, dici, il classico manager americano, uno sfruttatore ma porta un po' di sano (mica tanto) liberismo. Sbagliato: la FIAT ai tempi di Marchionne prendeva soldi dallo Stato in Polonia, in Serbia ed in Brasile, altro che uomo del mercato. Non parliamo della baraccata di soldi presi in USA, vantandosi poi di aver rimesso in piedi Chrysler - sì, coi soldi di Obama. Ed ora, quando il piano da 20 miliardi si è sciolto come neve al sole, ecco il Marchionne che batte cassa: "l'auto funziona dove ci sono aiuti di Stato". A parte il fatto che non è vero - basta guardare la Germania - eccolo qua il manager moderno: non è capace di competere ed allora ciuccia i soldi dello Stato, cioè dei contribuenti - categoria, è giusto ricordarlo, a cui Marchionne non appartiene, pagando le tasse (poche) in Svizzera.
Il nostro però non si accontenta di chiedere soldi, dispensa anche perle di saggezza mischiate ad avvertimenti in stile mafioso. FIAT rimarrà in Italia ma solo se il paese si modernizza, e cosa questo voglia dire per Marchionne lo sappiamo già: più sfruttamento del lavoro. E comunque in 5 ore di colloquio Monti non è riuscito a strappare una garanzia che sia una, dimostrando per altro di quale modesta caratura stiamo parlando.
Ma il problema di fondo di Marchionne lo avevamo già identificato due anni fa: questo signore non è un industriale, non è neanche un manager, è un finanziere e di conseguenza si comporta. Antropologicamente non ha la capacità di comprendere cosa sia la produzione di merci. Non ha la minima idea di cosa voglia dire fare industria di cosa siano i saperi costruiti nel corso di decenni, di cosa sia il capitale umano. Pensa infatti che i lavoratori siano solo merce da spremere e poi buttare. Per lui il capitale è liquido e si muove, non può capire le lentezze strutturali dell'industria. Il denaro non ha storia, l'impresa si.
Economicamente non è in grado di comportarsi da industriale. Il capitalismo di Schumpeter era, è, quello della distruzione innovatrice, ogni crisi porta ad un rinnovamento e l'industria è come un'Araba Fenice che risorge dalle sue ceneri. E dunque i veri capitalisti investono in innovazione anche e soprattutto nei momenti di crisi, ed infatti Volkswagen e la maggior parte delle altre case automobilistiche in questi anni hanno investito in nuovi modelli anche col mercato dell'auto in caduta libera. Marchionne no, e lo rivendica: non si investe quando il mercato non tira. Ma questo è vero per un finanziere che blocca tutti gli investimenti finchè il mercato è in discesa, e compra solo quando il trend cambia. Come un trader di borsa, l'orizzonte temporale di Marchionne dura lo spazio di un mattino. Ottimo per tenere i conti in ordine, nel breve periodo. Ma con nessuna possibilità di rilanciare una impresa che ha bisogno come il pane di investimenti e progettualità.
Tuesday, 25 September 2012
Wednesday, 19 September 2012
Democrazia ed Economia - 3: le leggi del mercato
In questo caso non sono leggi teoriche, ma vere e proprie normative. Succede in Honduras, posto perfetto per l'ennesimo esperimento social-economico del capitalismo. L'idea è della MKG, una società immobiliare americana che costruirà una città sulle coste del Pacifico, in Honduras. Ma non farà parte dell'Honduras. Non a tutti gli effetti almeno. Non varranno le leggi civili dello Stato centroamericano - quelle penali, almeno inizialmente si, poi più tardi chissà, magari si potrà depenalizzare la schiavitù. Sarà il Consiglio di Amministrazione a stabilire le leggi che regolano i rapporti civili - tipo livello di tasse, garanzie sindacali, orario di lavoro, ordine pubblico (che so, vietiamo la sciopero e le manifestazioni!) e via dicendo.
Si tratta, bisogna ammetterlo, di una idea brillante. A fare lobby si perde troppo tempo e poi trovi sempre qualche populista che ti pianta delle grane. Se invece le leggi te le fai da te, risparmi tempo, denaro, e sei sicuro del risultato.
Non si sa come mai non ci abbia pensato per primo il nostro Marchionne, che avrebbe potuto chiedere di privatizzare Torino. Magari avrebbe lasciato sindaco Chiamparino che non rompeva poi troppo ma si sarebbe pure potuto accontentare di Fassino.
In fondo il risultato non sarebbe molto diverso, si cambiano le leggi ed i diritti in base ai bisogni del padrone di turno che in cambio promette (e chissà, qualcuno manterrà pure) lavoro e paga per tutti, o quasi. Qui il problema lo si risolve a monte, facendosi direttamente le leggi ed esautorando Stato e Parlamento - una conseguenza logica di quasi quarant'anni di liberismo. Ci hanno detto che il mercato funziona e lo Stato no. Ed allora dello Stato che ce ne facciamo? Qui si tratta di soldi, investimenti, posti di lavoro, sarà meglio lasciar fare a chi ci sa fare. E gli investitori vogliono profitti, mica gente che chiede servizi pubblici o rispetto dell'ambiente. Ogni cosa, in fondo, ha un suo prezzo.
Si tratta, bisogna ammetterlo, di una idea brillante. A fare lobby si perde troppo tempo e poi trovi sempre qualche populista che ti pianta delle grane. Se invece le leggi te le fai da te, risparmi tempo, denaro, e sei sicuro del risultato.
Non si sa come mai non ci abbia pensato per primo il nostro Marchionne, che avrebbe potuto chiedere di privatizzare Torino. Magari avrebbe lasciato sindaco Chiamparino che non rompeva poi troppo ma si sarebbe pure potuto accontentare di Fassino.
In fondo il risultato non sarebbe molto diverso, si cambiano le leggi ed i diritti in base ai bisogni del padrone di turno che in cambio promette (e chissà, qualcuno manterrà pure) lavoro e paga per tutti, o quasi. Qui il problema lo si risolve a monte, facendosi direttamente le leggi ed esautorando Stato e Parlamento - una conseguenza logica di quasi quarant'anni di liberismo. Ci hanno detto che il mercato funziona e lo Stato no. Ed allora dello Stato che ce ne facciamo? Qui si tratta di soldi, investimenti, posti di lavoro, sarà meglio lasciar fare a chi ci sa fare. E gli investitori vogliono profitti, mica gente che chiede servizi pubblici o rispetto dell'ambiente. Ogni cosa, in fondo, ha un suo prezzo.
Monday, 17 September 2012
FIOM esclusa
La vicenda FIAT si potrebbe definire una farsa se non finisse per pesare, come sempre, sulla pelle di migliaia di lavoratori che rischiano (eufemismo) di restare a casa mentre Marchionne ingrassa i suoi profitti da evasore in Svizzera.
Ma che Marchionne fosse il classico personaggio da operetta tutta italiana (altro che manager apolide che vive sui 2 lati dell'Atlantico) lo si era capito da un pezzo. Da quando cercò (e riuscì) a far pagare il peso della sua incapacità di manager ai lavoratori. Da quando in piena crisi, invece di innovare, come i suoi concorrenti, decise di non lanciare nuovi prodotti, preferendo pagare dividendi che venivano da operazione finanziarie invece che industriali. Da quando svendette il patrimonio di know-how e di tecnologia della FIAT alla Chrysler - e ci domandiamo perchè gli americani fossero contenti?? Da quando davanti alla sua incapacità di competere sul mercato dell'auto pensò bene di dar la colpa ai concorrenti - leggi Volkswagen - che avevano il torto di far profitti.
Gli unici a fingere di non averlo capito furono politicanti e sindacalisti venduti. Quelli che "fossi un operaio voterei per il piano Marchionne senza se e senza ma" (Renzi, Fassino, Chiamparino, quello che ora è andato a dirigere una fondazione bancaria che fa capo ai principali finanziatori di FIAT, il gruppo San Paolo); quelli che "il diritto cui teniamo è quello al lavoro" (Bonanni e Angeletti), anche se ora non ci sono diritti e non c'è lavoro; e quelli che "il problema dell'industria italiana è il costo del lavoro" (Monti, Fornero ma non dimentichiamoci dell'eterno Ichino, uno che è diventato parlamentare grazie ai studi che di scientifico non hanno nulla e di cialtronesco molto, se non tutto). Ecco, la debacle dell'industria italiani ha molti padri, ma certo non la FIOM.
Certo non la FIOM che, sola, villipensa, insultata, derisa, si schierò contro il piano Marchionne. Non capivano, questi sindacalisti, come cambiavano le relazioni industriali del futuro, guardavano ancora al Novecento, forse addirittura più indietro. Beata ignoranza. I soloni che alternavano giudizi sprezzanti a fuorbite analisi sul futuro dell'industria dovrebbero forse andare a lezioni di politica industriale da uno che di industria se ne intende, tal Cesare Romiti che accusa senza mezzi termini Marchionne ma fa notare che non si possono scaricare tutte le colpe su di lui. Dov'era, si domanda Romiti, il sindacato: "Il principale colpevole è il sindacato assente, Fiom esclusa".
Eh già, perchè anche se appare Novecentesco, il compito del sindacato non è di far da servo al padrone - per quello bastano già i politici venduti. No, il compito del sindacato sarebbe quello di controllare le scelte padronali, di guardare i piani industriali, di proporre alternative. Quello che ha fatto la FIOM. Cui forse, ora, sarebbe doveroso rivolgere delle scuse.
Ma che Marchionne fosse il classico personaggio da operetta tutta italiana (altro che manager apolide che vive sui 2 lati dell'Atlantico) lo si era capito da un pezzo. Da quando cercò (e riuscì) a far pagare il peso della sua incapacità di manager ai lavoratori. Da quando in piena crisi, invece di innovare, come i suoi concorrenti, decise di non lanciare nuovi prodotti, preferendo pagare dividendi che venivano da operazione finanziarie invece che industriali. Da quando svendette il patrimonio di know-how e di tecnologia della FIAT alla Chrysler - e ci domandiamo perchè gli americani fossero contenti?? Da quando davanti alla sua incapacità di competere sul mercato dell'auto pensò bene di dar la colpa ai concorrenti - leggi Volkswagen - che avevano il torto di far profitti.
Gli unici a fingere di non averlo capito furono politicanti e sindacalisti venduti. Quelli che "fossi un operaio voterei per il piano Marchionne senza se e senza ma" (Renzi, Fassino, Chiamparino, quello che ora è andato a dirigere una fondazione bancaria che fa capo ai principali finanziatori di FIAT, il gruppo San Paolo); quelli che "il diritto cui teniamo è quello al lavoro" (Bonanni e Angeletti), anche se ora non ci sono diritti e non c'è lavoro; e quelli che "il problema dell'industria italiana è il costo del lavoro" (Monti, Fornero ma non dimentichiamoci dell'eterno Ichino, uno che è diventato parlamentare grazie ai studi che di scientifico non hanno nulla e di cialtronesco molto, se non tutto). Ecco, la debacle dell'industria italiani ha molti padri, ma certo non la FIOM.
Certo non la FIOM che, sola, villipensa, insultata, derisa, si schierò contro il piano Marchionne. Non capivano, questi sindacalisti, come cambiavano le relazioni industriali del futuro, guardavano ancora al Novecento, forse addirittura più indietro. Beata ignoranza. I soloni che alternavano giudizi sprezzanti a fuorbite analisi sul futuro dell'industria dovrebbero forse andare a lezioni di politica industriale da uno che di industria se ne intende, tal Cesare Romiti che accusa senza mezzi termini Marchionne ma fa notare che non si possono scaricare tutte le colpe su di lui. Dov'era, si domanda Romiti, il sindacato: "Il principale colpevole è il sindacato assente, Fiom esclusa".
Eh già, perchè anche se appare Novecentesco, il compito del sindacato non è di far da servo al padrone - per quello bastano già i politici venduti. No, il compito del sindacato sarebbe quello di controllare le scelte padronali, di guardare i piani industriali, di proporre alternative. Quello che ha fatto la FIOM. Cui forse, ora, sarebbe doveroso rivolgere delle scuse.
Wednesday, 12 September 2012
Democrazia ed economia - 2: la trappola di Draghi
La mossa della BCE di comprare titoli di debito sul mercato è un passo nella giusta direzione. Sarebbe dovuto anzi essere introdotto molto tempo fa, si sarebbero risparmiati disagi e problemi per Spagna ed Italia ed anche la Grecia - il cui ammontare di debito è relativamente piccolo - sarebbe potuta essere tratta in salvo. Infine la BCE ha deciso di fare quello che tutte le altre banche centrali fanno, usare il proprio illimitato potere di fuoco per rendere irrealistico un attacco speculativo contro un debito sovrano.
Ma è veramente così, e qual'è il prezzo di questa scelta? In realtà il piano Draghi pone una forte condizionalità, gli Stati che decideranno di ricorrere all'aiuto della BCE saranno costretti a riforme economiche decise a Francoforte. Si tratta di un unicuum, nessuna banca centrale al mondo ha il potere di imporre le politiche al proprio stato, qui addirittura abbiamo una istituzione europea il proprio potere sugli stati membri - la sovranità non è più nelle mani del popolo ma dei banchieri centrali.
Una delle colonne del neo-liberismo negli ultimi 30 anni è stata l'indipendenza delle banche centrali, un concetto estremamente anti-democratico visto che questo semplicemente significa che mentre la politica fiscale è decisa dal Parlamento e quindi dagli elettori, la politca monetaria - l'altro bastione della politica economica - è decisa da un gruppo di tecnici senza nessun controllo politico. Per altro la Banca Centrale è un organismo non completamente pubblico nel cui consiglio di amministrazione siedono i principali banchieri privati. In sostanza si è privatizzata una parte fondamentale dell'attività di governo, a solo uso dei mercati. Ora non solo la BCE rimane indipendente, ma mette sotto controllo gli stati, riducendo Parlamenti - ed elezioni - ad una farsa.
Ma è veramente così, e qual'è il prezzo di questa scelta? In realtà il piano Draghi pone una forte condizionalità, gli Stati che decideranno di ricorrere all'aiuto della BCE saranno costretti a riforme economiche decise a Francoforte. Si tratta di un unicuum, nessuna banca centrale al mondo ha il potere di imporre le politiche al proprio stato, qui addirittura abbiamo una istituzione europea il proprio potere sugli stati membri - la sovranità non è più nelle mani del popolo ma dei banchieri centrali.
Una delle colonne del neo-liberismo negli ultimi 30 anni è stata l'indipendenza delle banche centrali, un concetto estremamente anti-democratico visto che questo semplicemente significa che mentre la politica fiscale è decisa dal Parlamento e quindi dagli elettori, la politca monetaria - l'altro bastione della politica economica - è decisa da un gruppo di tecnici senza nessun controllo politico. Per altro la Banca Centrale è un organismo non completamente pubblico nel cui consiglio di amministrazione siedono i principali banchieri privati. In sostanza si è privatizzata una parte fondamentale dell'attività di governo, a solo uso dei mercati. Ora non solo la BCE rimane indipendente, ma mette sotto controllo gli stati, riducendo Parlamenti - ed elezioni - ad una farsa.
Monday, 10 September 2012
Democrazia ed economia - 1: Napolitano e le elezioni
Ormai non si sa più cosa dire per commentare le parole del Presidente della Repubblica. Dovrebbe essere al suo posto per garantire la difesa della Costituzione, invece pare sempre più chiaro che siede al Quirinale per garantire un certo tipo di classe politica ed un certo tipo di scelte economiche.
Non ha battuto ciglio, anzi ha applaudito, quando si violentava la Carta con l'obbligo di pareggio di bilancio, legando mani e piedi a future maggioranze che non potranno, legittimamente, decidere di adottare una politica di deficit-spending, se così vorranno gli elettori.
Ancor peggio ha fatto nello scorso weekend, quando ha ammonito i partiti in vista delle prossime elezioni. Voi confrontatevi pure in campagna elettorale, ma ci sono comunque io a vigilare che gli impegni presi con l'Europa - fiscal compact, tagli, etc etc - vengano rispettati. E perchè mai? Se una maggioranza di elettori votasse per partiti contrari a questi provvedimenti, che autorità potrebbe mai avere Napolitano per impedire i cambiamenti? Ancor di più, se ci fosse un voto chiaro di uscita dall'Euro, Napolitano potrebbe usare tutta la sua moral suasion, ma dovrebbe rispettare i risultati elettorali. Perchè, almeno finora, la democrazia si basa su quel che decidono gli elettori, non su cosa vuole il Presidente della Repubblica, Monti o i mercati internazionali.
Non si tratta di un giudizio di merito su certe politiche - che sono comunque sbagliate - ma di un problema di metodo che nulla ha a che fare con la democrazia. Anzi, l'obiettivo pare proprio svuotare di qualsiasi contenuto prettamente politico le prossime elezioni, che dovrebbero essere consultazioni per approvare, comunque, l'operato della classe dirigente. Una sorta di elezioni sovietiche, come quelle cui si era abituato Napolitano da giovane.
Per fortuna questo orribile settennato sta finendo, speriamo con un normale semestre bianco e non con un golpe dello stesso colore.
Non ha battuto ciglio, anzi ha applaudito, quando si violentava la Carta con l'obbligo di pareggio di bilancio, legando mani e piedi a future maggioranze che non potranno, legittimamente, decidere di adottare una politica di deficit-spending, se così vorranno gli elettori.
Ancor peggio ha fatto nello scorso weekend, quando ha ammonito i partiti in vista delle prossime elezioni. Voi confrontatevi pure in campagna elettorale, ma ci sono comunque io a vigilare che gli impegni presi con l'Europa - fiscal compact, tagli, etc etc - vengano rispettati. E perchè mai? Se una maggioranza di elettori votasse per partiti contrari a questi provvedimenti, che autorità potrebbe mai avere Napolitano per impedire i cambiamenti? Ancor di più, se ci fosse un voto chiaro di uscita dall'Euro, Napolitano potrebbe usare tutta la sua moral suasion, ma dovrebbe rispettare i risultati elettorali. Perchè, almeno finora, la democrazia si basa su quel che decidono gli elettori, non su cosa vuole il Presidente della Repubblica, Monti o i mercati internazionali.
Non si tratta di un giudizio di merito su certe politiche - che sono comunque sbagliate - ma di un problema di metodo che nulla ha a che fare con la democrazia. Anzi, l'obiettivo pare proprio svuotare di qualsiasi contenuto prettamente politico le prossime elezioni, che dovrebbero essere consultazioni per approvare, comunque, l'operato della classe dirigente. Una sorta di elezioni sovietiche, come quelle cui si era abituato Napolitano da giovane.
Per fortuna questo orribile settennato sta finendo, speriamo con un normale semestre bianco e non con un golpe dello stesso colore.
Thursday, 9 August 2012
Le inutili proposte del governo per abbattere il debito
L'Italia è in recessione del 2.5%, come per altro avevamo già anticipato. L'economia va male in molte parti d'Europa, dalla Spagna alla Grecia alla Gran Bretagna e presto potrebbe entrare in recessione anche la Francia, quindi si tratta di un problema generale e non solo italiano. Ma le responsabilità del governo sono enormi, con manovre fiscali che hanno avuto il solo obiettivo di rimetter momentaneamente a posto i conti pubblici anche a costo di uccidere l'economia reale - il che porta ad un ulteriore peggioramento delle finanze dello Stato.
Anche il governo deve essersene reso conto ed ha partorito in queste ore un piano per ridurre l'ammontare del debito, un passo fondamentale per riconquistare la fiducia dei mercati e liberare risorse per ora bloccate dal servizio del debito. Purtroppo il piano del governo è destinato a fallire miseramente e potrebbe addirittura peggiorare la situazione. L'idea di Monti (o meglio, quella di Amato e Bassanini) è ridurre il debito attraverso la dismissione di immobile e la vendita di partecipazioni statali. Ma è difficile pensare che queste misure da sole possano bastare.
Per quanto riguarda gli immobili, già in questi anni le aste delle caserme dismesse sono andate deserte. Nessuno ha liquidità, o coraggio, per investire in grandi operere edilizie. Ed anche il mercato delle case è in crollo, data la difficoltà di accendere un mutuo per molte delle famiglie italiane. In una situazione di questo genere il governo finirebbe per vendere sotto prezzo, trasferendo a prezzo scontato risorse pubbliche ai soli in grado di permettersele, i soliti noti che hanno accumulato ricchezze faraoniche nel corso degli ultimi 20 anni.
Per le partecipazioni statali il rischio è anche maggiore. In questo periodo di turbulenza sui mercati finanziari i prezzi delle azioni di molte partecipate, a cominciare da ENI ed ENEL sono scesi e dunque, nuovamente, si tratterebbe di vendere sotto prezzo. Ma vendere poi a chi? Vendere porti ai cinesi? O Finmeccanica agli indiani? Le partecipate statali sono industrie strategiche su cui bisognerebbe investire invece di dismetterle. Proprio ieri il ministro Fornero ha cantato le lodi dell'industria, indispensabile per la ripresa, e noi vogliamo venderla, probabilmente a stranieri, con piani economici che poco avrebbero a che fare con i bisogni della nostra economia?
La strada maestra per ridurre il debito rimane la patrimoniale che il governo invece ostinatamente nega, adducendo effetti recessivi sull'economia. Certo se la patrimoniale colpisse tutte le famiglie indiscriminatamente gli effetti recessivi sarebbero devastanti. Per molte famiglie medio-povere, la maggioranza, una tassa sul patrimonio, come già l'IMU, si tradurrebbe in una tassa sul reddito diminuendo così i consumi. Ma una patrimoniale, alta o molto alta, sui redditi elevati, non avrebbe questo impatto. Come noto a qualsiasi economista, una riduzione della ricchezza privata non ha effetti recessivi, se non marginali, perchè non tocca nè la spesa per investimenti, nè quella per consumi. I ricchi continuano a macinare soldi, le loro entrate non calerebbero, mentre una parte del loro patrimonio verrebbe prelevata dallo stato. In questa maniera si potrebbe far calare in maniera notevole il debito pubblico, magari accompagnando tale misura con dismissioni ad hoc, che potrebbero comunque essere effettuate in un secondo momento con un'economia in crescita e prezzi in salita.
Per altro si tratterebbe di una scelta giusta dal punto di vista etico. In un paese con la diseguaglianza alle stelle, un riequilibrio dei patrimoni, se non ancora del reddito, sarebbe un segnale importante. Una società più giusta è una società più sana, con meno tensioni, meno problemi ed una economia migliore. Ma non pretendiamo da Monti scelte eticamente condivisibili. Ci accontenteremmo che facesse quello che è giusto dal punto di vista economico. Una speranza vana, purtroppo.
Anche il governo deve essersene reso conto ed ha partorito in queste ore un piano per ridurre l'ammontare del debito, un passo fondamentale per riconquistare la fiducia dei mercati e liberare risorse per ora bloccate dal servizio del debito. Purtroppo il piano del governo è destinato a fallire miseramente e potrebbe addirittura peggiorare la situazione. L'idea di Monti (o meglio, quella di Amato e Bassanini) è ridurre il debito attraverso la dismissione di immobile e la vendita di partecipazioni statali. Ma è difficile pensare che queste misure da sole possano bastare.
Per quanto riguarda gli immobili, già in questi anni le aste delle caserme dismesse sono andate deserte. Nessuno ha liquidità, o coraggio, per investire in grandi operere edilizie. Ed anche il mercato delle case è in crollo, data la difficoltà di accendere un mutuo per molte delle famiglie italiane. In una situazione di questo genere il governo finirebbe per vendere sotto prezzo, trasferendo a prezzo scontato risorse pubbliche ai soli in grado di permettersele, i soliti noti che hanno accumulato ricchezze faraoniche nel corso degli ultimi 20 anni.
Per le partecipazioni statali il rischio è anche maggiore. In questo periodo di turbulenza sui mercati finanziari i prezzi delle azioni di molte partecipate, a cominciare da ENI ed ENEL sono scesi e dunque, nuovamente, si tratterebbe di vendere sotto prezzo. Ma vendere poi a chi? Vendere porti ai cinesi? O Finmeccanica agli indiani? Le partecipate statali sono industrie strategiche su cui bisognerebbe investire invece di dismetterle. Proprio ieri il ministro Fornero ha cantato le lodi dell'industria, indispensabile per la ripresa, e noi vogliamo venderla, probabilmente a stranieri, con piani economici che poco avrebbero a che fare con i bisogni della nostra economia?
La strada maestra per ridurre il debito rimane la patrimoniale che il governo invece ostinatamente nega, adducendo effetti recessivi sull'economia. Certo se la patrimoniale colpisse tutte le famiglie indiscriminatamente gli effetti recessivi sarebbero devastanti. Per molte famiglie medio-povere, la maggioranza, una tassa sul patrimonio, come già l'IMU, si tradurrebbe in una tassa sul reddito diminuendo così i consumi. Ma una patrimoniale, alta o molto alta, sui redditi elevati, non avrebbe questo impatto. Come noto a qualsiasi economista, una riduzione della ricchezza privata non ha effetti recessivi, se non marginali, perchè non tocca nè la spesa per investimenti, nè quella per consumi. I ricchi continuano a macinare soldi, le loro entrate non calerebbero, mentre una parte del loro patrimonio verrebbe prelevata dallo stato. In questa maniera si potrebbe far calare in maniera notevole il debito pubblico, magari accompagnando tale misura con dismissioni ad hoc, che potrebbero comunque essere effettuate in un secondo momento con un'economia in crescita e prezzi in salita.
Per altro si tratterebbe di una scelta giusta dal punto di vista etico. In un paese con la diseguaglianza alle stelle, un riequilibrio dei patrimoni, se non ancora del reddito, sarebbe un segnale importante. Una società più giusta è una società più sana, con meno tensioni, meno problemi ed una economia migliore. Ma non pretendiamo da Monti scelte eticamente condivisibili. Ci accontenteremmo che facesse quello che è giusto dal punto di vista economico. Una speranza vana, purtroppo.
Tuesday, 31 July 2012
Marchionne, il mercato e il vecchio vizio della FIAT
La scorsa settimana Marchionne ci ha dato una perfetta spiegazione sul perchè la FIAT sia in crisi nera ed in netto calo di vendite. Per un paio d'anni le responsabilità sono state date alla FIOM ed ai lavoratori che non si decidevano a lavorare a ritmi cinesi e salari indiani. Nello stesso periodo, i lavoratori della Volkswageni, a salari molto più alti, prendevano un premi di produzione di 6000 euro.
Si è parlato allora di mercato saturo e crisi generale dall'auto. Ormai non si riesce più a vendere, soprattutto in Europa. Ma Volskwagen negli ultimi 2 anni ha incrementato le vendite.
Ed allora, ovviamente, la colpa, secondo Marchionne, è della Volskwagen, perchè no? L'ad di FIAT ha dottamente spiegato che è la politica dei prezzi agressivi della casa tedesca a distruggere il mercato. Ma Volkswagen non vende sottocosto, gli utili continuano a salire.
E di cosa si lamenta allora, Marchionne? Volskwagen dovrebbe forse fare una politica di prezzi tale da favorire FIAT e la sua scarsa competitività? Dovrebbe tenere i prezzi alti e unirsi alla debacle della casa torinese?
Marchionne che si vanta tanto della sua internazionalità forse non conosce molto bene il significato della parola competizione. In mercati competitivi il tuo avversario abbassa il prezzo al margine per vendere sempre di più. Evidentemente i tedeschi, nonostante paghino salari più alti, sono più efficienti e hanno macchine migliori. Invece Marchionne incarna perfettamente il vecchio vizio italiano e della FIAT, che quando le cose non vanno è sempre colpa di altri e che in fondo sarebbe necessario qualche aiuto extra, se non dallo Stato magari dai concorrenti.
E se invece fosse che Marchionne è un incapace?
Si è parlato allora di mercato saturo e crisi generale dall'auto. Ormai non si riesce più a vendere, soprattutto in Europa. Ma Volskwagen negli ultimi 2 anni ha incrementato le vendite.
Ed allora, ovviamente, la colpa, secondo Marchionne, è della Volskwagen, perchè no? L'ad di FIAT ha dottamente spiegato che è la politica dei prezzi agressivi della casa tedesca a distruggere il mercato. Ma Volkswagen non vende sottocosto, gli utili continuano a salire.
E di cosa si lamenta allora, Marchionne? Volskwagen dovrebbe forse fare una politica di prezzi tale da favorire FIAT e la sua scarsa competitività? Dovrebbe tenere i prezzi alti e unirsi alla debacle della casa torinese?
Marchionne che si vanta tanto della sua internazionalità forse non conosce molto bene il significato della parola competizione. In mercati competitivi il tuo avversario abbassa il prezzo al margine per vendere sempre di più. Evidentemente i tedeschi, nonostante paghino salari più alti, sono più efficienti e hanno macchine migliori. Invece Marchionne incarna perfettamente il vecchio vizio italiano e della FIAT, che quando le cose non vanno è sempre colpa di altri e che in fondo sarebbe necessario qualche aiuto extra, se non dallo Stato magari dai concorrenti.
E se invece fosse che Marchionne è un incapace?
Subscribe to:
Posts (Atom)