Monday, 24 December 2012

Made in America: ineguaglianza e monopolio


Recentemente abbiamo discusso i trend nella suddivisione del reddito in America, e come abbiamo visto la quota dei profitti è in ascesa costante, mentre la quota salari è ai minimi storici. Le spiegazioni economiche possono essere di diverso tipo, ma una di grande importanza è quella legata alla trasformazione in senso monopolista dell'economia americana. Questo tipo di argomentazione non solo non dovrebbe sorprendere nessun economista di sinistra, ma dovrebbe essere nel bagaglio intellettuale di qualsiasi economista liberale onesto. Che il monopolismo sia una alterazione della competizione e del libero mercato è cosa che si studia nei corsi base di macro-economia. E che l'economia americana, negli ultimi 30 anni (da Reagan in avanti, oh che sorpresa) sia diventata sempre più monopolista è fatto piuttosto noto, anche se quasi mai discusso (una notevole eccezione è quest'articolo di Lynn e Longman). Quando in questi ultimi decenni si è combattuto in nome del libero mercato, in realtà lo si è sempre fatto nel nome delle grandi compagnie, cioè quelle che alterano il mercato (non a caso, in Italia, il più grande paladino, a parole, del liberismo è stato il Monopolista per eccellenza, Berlusconi). Libertà d'impresa, infatti, non è sinonimo di libero mercato: perchè esista un vero mercato competitivo lo Stato deve attivamente abbattere monopoli e cartelli. Il che garantisce libertà d'entrata - cioè le piccole compagnie possono competere liberamente perchè i prezzi non sono fatti da altre compagnie (price-maker) ma sono il risultato di una competizione libera. Ma garantisce anche la libertà d'uscita, cioè la possibilità del fallimento di alcune imprese senza che questa metta a repentaglio un intero settore industriale (vedi il caso ILVA) quando non proprio l'economia nel suo complesso (è, ovviamente, il caso delle grandi banche o assicurazioni).
La crescita del monopolio non ha effetti solo sulla competizione tra imprese, ma, ovviamente, anche nella distribuzione del reddito e nell'influenza politica esercitata dal grande capitale. Le compagnie monopoliste bloccano la competizione e corrompono il mercato. E dunque non hanno un impatto solo sui prezzi al consumo, ma anche sul mercato del lavoro, soprattutto riducendo l'occupazione. Controllando il mercato, i monopolisti non hanno interesse ad espandere la produzione, stabilendo un equilibrio inefficiente sul mercato, caratterizzato da prezzi più alti e occupazione più bassa. Non investono, o investono meno, in ricerca e sviluppo, che è notoriamente una fonte importante di molti posti di lavoro. Bloccano l'entrata delle piccole compagnie sul mercato. E bloccano lo sviluppo di quelle piccole e medie già esistenti su segmenti di mercato collegati - la supply chain - perché possono imporre prezzi e quantità ai loro fornitori. Il tutto con un effetto netto di un perdita netta di posti di lavoro - come confermato dai dati sulla creazione di posti di lavoro anche prima della crisi. E quindi un indebolimento di fatto del lavoro. E qui parliamo semplicemente di relazioni economiche capitale/lavoro, senza neanche entrare nel complesso mondo delle lobby, della politica e del potere delle grandi imprese.


Thursday, 20 December 2012

Profitti e salari nell'America del dopo crisi

Ultimamente Paul Krugman ha rilanciato con forza un argomento che l'economia mainstream ha per anni accuratamente evitato: la lotta di classe.
In un recente post Krugman ha fornito qualche dato sul conflitto capitale-lavoro, spiegando come negli ultimi 10 anni la quota salari si sia drasticamente ridotta a vantaggio della remunerazione del capitale.



Il che si traduce molto semplicemente in un arricchimento dei capitalisti e di un impoverimento (relativo) dei lavoratori. Ed infatti, se guardiamo al trend dei profitti delle corporazioni come % del PIL, vediamo che dopo il crollo del 2008, i capitalisti americani hanno fatto più che bene, raggiungendo il massimo degli ultimi 20 anni.


Corporate profits as a percentage of US GDP chart
fonte: http://qz.com/37734/corporations-are-the-people-of-the-year-my-friend/

La cosa è ancora più importante ora, in una situazione di crisi. L'economia si contrae o, al meglio, è stagnante, e quindi l'impoverimento relativo dei lavoratori diventa impoverimento assoluto - in una torta più piccola, la fetta che va al lavoro si è ulteriormente ridotta pure in termini relativi. Mentre i profitti sono cresciuti a dismisura. E ricordiamoci che nella quota lavoro rientrano anche i salari super gonfiati dei grandi manager e dell'industria finanziaria!
In fondo è sempre la stessa storia, la vecchia lotta di classe di marxiana memoria. Chi si prende i proventi del lavoro? Guardando questo grafico, la risposta pare piuttosto ovvia. La crisi la pagano tutta i lavoratori, mentre per le imprese è la solita pacchia. Qualcosa da tenere in considerazione quando si discute di fiscal cliff.


Wednesday, 19 December 2012

La Tobin Tax e l'ennesima bufala del governo

Governo dimissionario, ma pur sempre in grado di far danni. Alla fine della settimana scorsa l'esecutivo ha proposto un emendamento sulla cosiddetta Tobin Tax, la tassa sulla transazioni finanziarie. Un emendamento, non c'era da dubitarne, per annacquare la tassa e fare l'ennesimo favore alle banche. Per prima cosa si è deciso di non tassare tutte le transazioni, come si era inizialmente proposto, ma solo di tassare il saldo a fine giornata, lasciando così libertà di speculare allegramente durante il giorno (e se l'idea era ridurre il volume delle transazioni, cioè quello proposto da Tobin stesso, ovviamente si sta andando in direzione opposta!). Non contento, il governo ha deciso che l'imposta in questione sia limitata al mercato azionario, ignorando quello dei tassi e dei cambi, dove c'è la vera ciccia. Una vera e propria debacle per la Tobin Tax. Come spiega efficacemente Mucchetti sul Corriere della Sera, da una base imponibile pari a 7 volte il nostro Pil, il governo si propone di raggiungere un gettito di 1 miliardo, ma che più realisticamente si ridurrà a 250 milioni. Un'inezia che non serve a nulla per i nostri conti, e che nulla fa per diminuire la speculazione. L'ennesima entrata a gamba tesa di un governo tutto attento a non toccare i forti, ma sempre pronto a prendersela con i deboli.

Thursday, 13 December 2012

Cosa succede al Fondo Monetario Internazionale?

Per almeno 20 anni il Fondo Monetario Internazionale è stato il simbolo di tutto quello che c'era di sbagliato nella globalizzazione neo-liberista. La condizionalità, i programmi di aggiustamento strutturali, le politiche monetariste a tutti i costi che distrussero le economie asiatiche nel 1997, le privatizzazioni selvagge in Russia e nell'Europa dell'Est dopo la caduta del Muro, il potere delle burocrazie e dei mercati che sovrastava quello di governi democraticamente eletti: tutte scelte che si sono dimostrate sbagliate, quando non proprio disastrose, nel medio periodo.
Il Fondo, probabilmente al di là delle sue pur oggettive responsabilità, è stato dunque descritto come il falco, l'ala più estremista dei cosiddetti globalizzatori. Ora, invece, l'IMF sembra essersi velocemente trasformato nella colomba dei mercati finanziari. Gli economisti del Fondo, dopo un iniziale supporto, hanno rigettato l'austerity, spiegando che i calcoli inizialmente effettuati sul moltiplicatore erano sbagliati. Non solo, già in precedenza era stata rigettata la tesi di Alesina che si potesse avere una austerity espansiva. Ma non basta. Durante gli ultimi negoziati sul finanziamento del debito greco il Fondo ha preso una posizione molto coraggiosa: la UE voleva dare due anni in più alla Grecia per ripagare il debito, ma il Fondo si è opposto. L'IMF ha sostenuto che il debito greco non era comunque sostenibile e che si sarebbe dovuto procedere ad una ristrutturazione invece che allungare i tempi di rientro.
Ed infine, sorpresa sorpresa, il Fondo ha cambiato opinione sulla sua bandiera storica, i movimenti di capitale. Durante gli anni 80 e 90, ed anche nell'ultimo decennio, all'IMF hanno strenuamente sponsorizzato la liberalizzazione dei mercati finanziari, sostenendo che questa avrebbe fornito capitali ai paesi in via di sviluppo e migliorato l'efficienza dell'economia mondiale. Come sappiamo, non è andata proprio così. Ora se ne rende conto anche il Fondo che fa marcia indietro. Si tratta di una posizione ancora molto timida, che semplicemente spiega come nelle economie in via di sviluppo la mancanza di controlli sui capitali possa creare bolle speculative destinate poi a scoppiare e mettere in difficoltà quei paesi. Ma si rifiuta ancora di considerare la speculazione come una forza destabilizzatrice e che ha ben poco di razionale. Meglio che niente, comunque.
Non si tratta certo di una rivoluzione, ma di primi passi di allontanamento da un modello economico evidentemente fallimentare. Se lo hanno capito anche gli economisti ideologizzati dal Fondo, come mai i politici europei non se ne sono ancora resi conto?

Wednesday, 12 December 2012

La UE fuori dalla realtà

L'articolo di qualche giorno fa del commissario europeo Olli Rehn, responsabile per gli affari economici e monetari della UE, è un manifesto della stupidità dell'Unione. Non si possono davvero usare altre parole.
Il commissario chiede di continuare con ancora maggiore austerity. Nel primo pezzo dell'articolo spiega come l'austerity stia funzionando benone, e di fatti l'Irlanda è tornata a raccogliere prestiti sui mercati, più capitale si è mosso verso la Spagna e lo spread per l'Italia è diminuito. Ma il commissario non accenna neppure alla disoccupazione in aumento in tutti i PIIGS, alla povertà, alla recessione. Più che Commissario agli affari economici, forse questo Rehn pensa di essere un broker finanziario. Totalmente inadeguato al ruolo di responsabilità che ricopre.
La seconda parte è altrettanto risibile. Si dice, in sostanza, che il peso del riequilibrio dei conti europei deve ricadere tutto sui paesi in difficoltà. Tutta colpa dei debitori, i creditori possono sedere in riva al fiume e aspettare il cadavere dei nemici. Si cita addirittura a sproposito Keynes, evidentemente letto su un Bignami, versione finlandese. L'idea balzana è che per ridurre i disavanzi commerciali bisogna obbligare i paesi debitori ad una svalutazione interna (leggi, salari bassi e disoccupazione) mentre una politica inflattiva nei paesi creditori avrebbe effetti molto minori - la Germania comprerebbe comunque beni e servizi in Polonia ma non in Spagna. Ma allora a cosa serve aumentare la competitività spagnola? In realtà si vuole impoverire quel paese in maniera tale da indurlo ad importare meno!
Il finale è una chicca: si sostiene che la Germania, applicando una austerity più ridotta rispetto agli altri paesi europei, sarà comunque in una situazione di de facto stimolo fiscale. Roba da matti. Il fatto di tagliare relativamente meno le spese non renderà i tedeschi più ricchi, e quindi più inclini a spendere e dunque ad aumentare le importazioni dal sud Europa. Non capire la differenza tra meno poveri e più ricchi è veramente patetico.
E' grazie a personaggi di questo genere che l'Europa sta andando a fondo. Ma Rehn non se ne è neppure accorto. Tutto va bene, nel paese delle meraviglie dove il Commissario-regina di cuori taglia la testa dei lavoratori europei. Continuiamo a farci del male!

Friday, 7 December 2012

L'inesistente relazione tra spread e austerity

Un bel grafico postato da Krugman sul NYT illustra alla perfezione l'ondata ideologica e propagandistica che ha invaso il dibattito politico ed economico in Europa e USA negli ultimi 3 anni.



In blu vediamo l'andamento dei tassi di interesse inglesi, in rosso quelli americani. Sono incredibilmente simili. Peccato però che i 2 paesi abbiano seguito politiche fiscali completamente diverse. Gli USA di Obama hanno foraggiato la ripresa economica e sono ora davanti al bivio del fiscal cliff con la minaccia delle rating agency di svalutare i bond americani se non ci fosse una stretta fiscale. Al contrario in UK il governo di coalizione ha imposto un'austerity a tutto spiano, rivendicandone i successi proprio in virtù di tassi di interesse molto bassi - mentre l'economia reale rimaneva risucchiata in un vortice restrittivo.
La realtà è che non è certo l'austerity (o la sua mancanza) a determinare i tassi di interesse o il cosiddetto spread. Come avevamo già detto, in America i tassi di interesse sui bond addirittura calarono dopo il downgrade del 2011. I tassi di interesse rimangono bassi perché i due paesi in questione sono monetariamente indipendenti e le due banche centrali possono stampare quanta moneta vogliono - non falliranno dunque mai, a meno che non lo vogliano.
A noi invece, proprio in virtù del potere dello spread, sono state imposte politiche di austerity che hanno ucciso la nostra economia, aumentato la disoccupazione, impoverito i lavoratori, tartassato i pensionati. Il tutto in nome di uno spread che è stato abbassato solo dall'intervento di Draghi. Eppure continuiamo ad andare nella direzione dei tagli, senza nessuna vera giustificazione....

Tuesday, 4 December 2012

La pillola avvelenata dei liberali

Zingales non ci delude mai. Il suo ultimo post su Project Syndicate dice tutto della alta concezione della democrazia che hanno i liberali. L'articolo è dedicato ai possibili problemi dell'OMT - outright monetary transactions - cioè il meccanismo per cui si potranno comprare bond dei paesi europei in difficoltà, così da tenere sotto controllo lo spread.
Zingales identifica con efficacia i limiti di questo meccanismo, la solita paccottiglia iper-burocratica scaturita dalla UE, una cosa bellissima che richiede che i parlamenti degli stati ricchi votino sull'esautorare di fatto i parlamenti degli stati poveri. Cioè tu sei in difficoltà, chiedi i soldi: noi ricchi ci riuniamo, decidiamo democraticamente, e se ti diamo i soldi poi decidiamo anche tutto quello che farai te d'ora in avanti. Sovranità limitata.
Ma Zingales di questo non si scandalizza, anzi. Teme le difficoltà politiche, non l'obbrobrio istituzionale. Ed infatti se ne esce con un commento geniale. Monti dovrebbe chiedere ora i fondi per l'Italia. Partirebbe così il programma di riforme strutturali decise dall'Europa in cambio di fondi e si eviterebbe qualsiasi dubbio riguardo le prossime elezioni. Il prossimo governo avrebbe letteralmente la mani legate (triggering the OMT in advance... would tie the hands of any future Italian government), con un programma già scritto all'estero e sottoscritto dallo governo uscente. Mica male, il sogno di Napolitano, probabilmente.
Una bella pillola avvelenata per evitare qualsiasi tipo brutta sorpresa alle prossime elezioni, perché si sa, questi elettori, soprattutto quando disoccupati e ridotti alla povertà, potrebbero avere qualche grillo per la testa.
Sempre lucido Zingales, in effetti e coerente con quello che i suoi maestri, tipo il Friedman che sosteneva Pinochet, gli hanno insegnato. Meglio però che rimanga a Chicago a insegnare economia, chè di democrazia ne capisce davvero poco.

Friday, 30 November 2012

Il problema del capitalismo italiano

Sembra ovvio a dirsi, ma è la produttività. Anche oggi riprendo un ottimo grafico di Krugman:



fonte: http://krugman.blogs.nytimes.com/2012/11/26/whats-the-matter-with-italy/


Un problema che ci portiamo avanti dall'inizio della seconda Repubblica. I motivi possono essere tanti, a cominciare dalla taglia extra-small delle imprese italiane. I fatti, comunque, dicono che la globalizzazione, la creazione del mercato unico europeo e la mercatizzazione dell'economia hanno affossato la nostra industria. Le colpe andrebbero equamente distribuite tra capitalisti che sono in realtà rentiers, che non hanno investito in ricerca e sviluppo, che hanno trasformato la flessibilità in precarietà;  sindacati, che hanno preferito un modello tutto italico di concertazione neo-corporativista, che in nome dell'unità sociale ha fondamentalmente sottoscritto una repressione salariale anche a fronte di profitti enormi delle industrie (che di conseguenza non hanno mai trovato stimoli adeguati per l'investimento); e naturalmente della politica, incapace di garantire una corretta politica industriale proprio nel momento di cambiamenti sistemici portati dall'apertura delle frontiere e dall'accrescersi della concorrenza capitalista - una politica che dunque teneva tasse alte senza fornire servizi e welfare adeguati alla nuova situazione economica.
Eppure, davanti all'evidenza dei numeri, ancora oggi nessuno è in grado di prendersi le proprie responsabilità - ed è dunque difficile pensare che ci possa essere una via d'uscita dietro l'angolo. Il caso dell'accordo sulla produttività è lampante in tal senso. Non solo mina la contrattazione nazionale ma agisce comunque solo sui costi, riducendo il cuneo fiscale. Che in generale è una buona idea per le imprese in crisi, ma non fa nulla per modificare l'andamento della produttività del lavoro. Per fermare il declino bisogna partire anche e soprattutto da lì.

Tuesday, 27 November 2012

Ma non è vero che la sanità pubblica non è sostenibile

Ecco il tormentone che ci perseguiterà per i prossimi anni: la sanità. Monti ha aperto il fuoco, assai poco amico, contro la sanità pubblica con un vecchio classico che i liberali usano sempre quando si tratta di attaccare i servizi pubblici - non sono sostenibili. E per bacco. Deve essere come per le pensioni, insostenibili per 20 anni fino a che non abbiamo deciso di tagliarle - anzi per la verità sono 20 anni che le tagliamo e non basta mai. Ed intanto abbiamo creato un bel po' di fondi privati di pensione, privatizzando di fatto la previdenza.
Faremo lo stesso con la sanità? Se dipendesse solo da Monti non c'è da dubitarne. D'altronde è sempre la stessa storia. Lo Stato è inefficiente. La popolazione diventa sempre più vecchia e quindi più bisognosa di cure e non abbiamo soldi per tutti. Qualcosa bisognerà pur fare, magari diamo in mano ai privati il servizio così riduciamo gli oneri per lo Stato. Peccato che come già mostrato in precedenza la sanità privata (americana) sia la più costosa del mondo. Forse viene considerata più sostenibile perché garantisce servizi ottimi ai ricchi e mediocri ai poveri che non possono permettersi un conto troppo salato - ma anche così pagano di più di quello che si farebbe con la sanità pubblica.
Ed allora quale soluzione? Forse basterebbe tassare in maniera seria i redditi più alti e la ricchezza. In un paese in cui oltre il 50% della ricchezza privata è detenuta da una piccola percentuale di oligarchi, ci sarebbero risorse a iosa per garantire un sistema sanitario efficiente, ricco e pubblico. Basta volerlo.

Monday, 26 November 2012

L'ILVA come la Fiat: ecco la voce del padrone

Ecco come funziona il mercato del capitalismo selvaggio. Monopoli naturali privatizzati e messi in mano a rapaci che fanno soldi su soldi. Aziende gigantesche con un potere contrattuale enorme tutte concentrate sulla ricerca del profitto. Per 30 anni ci hanno insegnato e spiegato che è giusto sia così, che è la mano invisibile a governare il mondo e che se lasciamo fare ai capitalisti il loro mestiere tutto funzionerà meglio. Ed il loro mestiere era far soldi, non certo interessarsi di questioni sociali, non certo avere delle responsabilità verso la terra in cui lavorano, verso i lavoratori che impiegano.
Ed ecco i bei risultati di Taranto. Profitti mirabolanti per i Riva, inquinamento per Taranto. Un trade-off inaccettabile ripetuto anche oggi. Se voi ci costringete a rispettare la legge, noi chiudiamo. La vera voce del padrone, quello che in realtà succede ogni giorno in larga parte del mondo. Industriali che ricattano governi e lavoratori, che vogliono pagare meno tasse, che non vogliono diritti sindacali, che pretendono aiuti di stato, etc. Sono i Marchionne, i Riva legati dalla stessa logica: non disturbate il manovratore, al massimo ringraziatelo. Altrimenti chiudiamo baracca e burattini.
Il solito ricatto dei padroni. E pensare che c'è ancora chi dice che tra lavoro e capitale non c'è conflitto. A Taranto lavoratori sul lastrico e bambini morti di cancro. E i Riva con il portafoglio gonfio.

Wednesday, 21 November 2012

Grecia, Italia, Europa: l'austerity non funziona

Nonostante i tagli e le finanziarie lacrime e sangue effettuate in Grecia, la trojka sembra restia a dare altri soldi ad Atene. Si sono infatti resi conto che il piano di rientro dal debito non sta assolutamente funzionando con il debito che, invece di calare, continua a crescere.
E come mai? Normalmente tagli e tassi porterebbero a risparmi per il settore pubblico con una conseguente riduzione di deficit e debito. Ma questo non sta avvenendo. Non in Grecia, non in Italia, perfino non in Germania.
Il motivo, in parte, lo abbiamo visto qualche tempo fa, con gli effetti dei tagli che sono molto più recessivi di quanto inizialmente previsto a causa di un moltiplicatore più ampio di quello calcolato da IMF e OECD. In generale, però, non si è tenuto conto della situazione economica generale che magnifica l'effetto di una politica fiscale restrittiva.
Durante i periodi di espansione economica i tagli fiscali hanno un effetto solo marginale - i loro effetti recessivi possono essere compensati da una politica monetaria espansiva (più denaro in circolazione, tassi di interesse più bassi per aumentare investimenti e consumi). Inoltre i consumi sono solo marginalmente influenzati da una stretta fiscale, perché durante un periodo di boom c'è alto (se non pieno) impiego e le prospettive per il futuro sono buone.
Non è questa la situazione nel periodo attuale. I tassi di interesse sono già vicini allo zero e quindi qualsiasi altro intervento rischia di dimostrarsi inutile (è il caso della liquidity trap in cui qualsiasi intervento di politica monetaria diventa inutile). La disoccupazione è molto alta e dunque i consumi non sono stabili ma in forte calo. Ed a questo si aggiunge che le contemporanee manovre restrittive in tutta Europa hanno un effetto depressivo anche sul commercio intra-europeo, peggiorando ulteriormente la dinamica del PIL.
In un recente articolo Holland e Portes hanno quantificato la differenza dell'impatto dell'austerity in tempi normali rispetto alla situazione attuale. In tutti i paese europei (tranne l'Irlanda) gli effetti sul PIL sono assai peggiori di quelli attesi.
Il che porta ad un paradosso di cui si era già parlato in altre occasioni. L'austerity ottiene esattamente il risultato opposto di quello che si era fissato, aumenta deficit e debito, rendendo il rapporto debito/PIL ancora più insostenibile. Questi sono i risultati riportati da Holland e Portes


Impatto sulla consolidazione del rapporto Debito/PIL (2013)



Lo scenario 1, in nero, illustra quale sarebbe stato l'impatto dell'austerity sul rapporto debito/PIL in tempi "normali", chiaramente una riduzione. In blu, invece, l'impatto atteso per il 2013, in piena recessione economica: un aumento. Il caso più eclatante è la Grecia, che proprio per questo motivo ora rischia di vedersi negata i fondi. Ma l'Italia, come vediamo, si classifica buona seconda in questo ranking dei fallimenti. Come a dire, Monti e i suoi tecnici ci lasciano in una situazione ben peggiore di quella in cui ci avevano presi.






Monday, 19 November 2012

Qualche verità scomoda sul fiscal cliff, tasse e crescita

Con l'avvicinarsi dell'inizio del 2013 sui mercati finanziari sta aumentando la preoccupazione riguardo il cosiddetto fiscal cliff, il burrone fiscale per cui da inizio anno ci saranno una serie di tagli considerevoli accompagnati da un brusco aumento delle tasse - cosa che rischia di portare gli USA in recessione.
Allo stesso tempo soprattutto la destra repubblicana vuole assolutamente che il governo intervenga per ridurre debito e deficit ed insiste perché ci siano tagli consistenti alla spesa sociale mentre le tasse non dovrebbero essere alzate. Al solito si sostiene che le tasse basse, soprattutto per i ricchi e per le corporations favoriscono gli investimenti e la crescita economica.
Purtroppo per repubblicani e neo-liberal queste non sono altro che congetture, teorie buone solo sulla carta non comprovate da alcuna realtà.
I grafici sottostanti, frutto di uno studio del Congressional Research Service, infatti, raccontano un'altra storia.


Andamento dell'aliquota massima sulle persone fisiche e sui capital gains, USA 1945-2010 



Come si vede chiaramente dalla fine della Seconda Guerra Mondiale le tasse per i più ricchi son scese vertiginosamente da oltre il 90% fino al 38% corrente. Le tasse medie sono ancora più basse. E quale è stato l'effetto sulla crescita economica.



Crescita del PIL e Aliquota massima su persone fisiche e capital gains 



Si può notare che un aumento dell'aliquota massima (più tasse per i ricchi) non ha nessun effetto sulla crescita. Addirittura tasse più alte sui capital gains paiono favorire una crescita superiore.
E' dunque evidente che le richieste dei Repubblicani sono assolutamente strumentali. Il loro scopo è salvaguardare i redditi dei più ricchi, tagliando le spese sociali e facendo pagare ai più poveri il debito creato dalla crisi, dalla guerra e dai tagli fiscali di Bush.
La speranza dunque è che Obama non capitoli. L'unica strada maestra per diminuire il deficit è aumentare le tasse per i più ricchi. E' giusto eticamente, ma è anche e soprattutto corretto economicamente.








Friday, 16 November 2012

Ancora sull'austerity e sui calcoli fatti male

La settimana scorsa avevo fatto notare come l'IMF avesse sbagliato i calcoli sul moltiplicatore keynesiano. Oggi anche Krugman riprende questo fatto e aggiunge un interessante grafico sugli errori fatti pure dall'OECD



Nel grafico si confronta la crescita economica prevista dall'OECD tra 2009 e 2011 e i risultati effettivi. Nel caso della Germania - che non ha applicato l'austerity - la crescita economica è stata sottostimata. Negli altri casi, e soprattutto in tutti i PIIGS, è stata grossolanamente sottostimata (in Grecia e Portogallo, i 2 paesi più in difficoltà e con il più forte aggiustamento fiscale, gli errori sono macroscopici).
A questo punto occorre farsi 2 domande:
- come mai tutti i centri economici "mainstream" hanno fatto gli stessi errori? Si tratta di inadeguatezza tecnica e culturale, cioè sono semplicemente scarsi - e se ne dovrebbe dedurre che forse dovremmo smettere di ascoltarli o quantomeno di prenderli come oracoli? Oppure esiste un più largo disegno politico-economico per far passare l'austerity a prescindere dalla sua effettiva utilità?
- come mai davanti a questi dati concreti ancora non si rigetta in toto l'austerity? In Italia e Spagna si continua a tagliare, in Grecia la UE ha dato 2 anni in più per ripagare i debiti ma nessun soldo (ricordiamo che i tanto famigerati aiuti europei sono stati dati per pagare i debiti, non per rilanciare l'economia). Qualcuno potrebbe spiegare perché?

Tuesday, 13 November 2012

Hollande, l'economia e le promesse elettorali tradite

Se qualcuno si aspettava che con Hollande tornassero i socialisti vecchia maniera di sicuro avrà ormai cominciato a ricredersi. Il governo socialista sta inanellando una serie di provvedimenti che poco, se non nulla, hanno di sinistra. E che tradiscono in maniera lampante le promesse effettuate in campagna elettorale.
Prima l'aderenza quasi maniaca al fiscal compact denunciato cui ci si era tanto opposti, e l'asse presto reinstaurato con la Merkel - questo blog lo aveva messo tra le ipotesi più concreta ancora prima che Hollande vincesse le elezioni.
Ora, sulla spinta del rapporto Gallois, provvedimenti economici decisamente pro-impresa, mentre in campagna elettorale si era negato decisamente ce ne fosse bisogno. Poi, una volta al governo, si è scoperto che esiste un problema di competitività dell'industria francese. Vero, se guardiamo all'andamento dell'export, anche se difficile valutarlo così acriticamente in un periodo di recessione come questo, in cui i consumi calano e con quelli il commercio estero. Ma ammettiamo pure che si possa intervenire per aiutare l'industria. Hollande ha varato quasi 20 miliardi di incentivi alle imprese che investono e assumono, diminuendo il costo del lavoro di quasi il 6%.
Peccato che per finanziare gli incentivi fiscali si alzi l'IVA (altra cosa fortemente negata in campagna elettorale), così gli aiuti alle imprese le pagano i consumatori. Ed il resto via ad altri tagli come se quelli già fatti in precedenza non fossero bastati. Insomma, pagano sempre gli stessi, sia che ci siano i socialisti che i conservatori. Per l'amor del cielo, sempre meglio dell'immobilismo italiano in cui l'incremento dell'IVA non viene nemmeno usato per rilanciare la crescita. Ma è veramente venuta l'ora di girare pagina. Rilanciare la produzione (ed i profitti) deprimendo i consumi dei cittadini non è certo un atto di coraggio.

Friday, 9 November 2012

Economisti da bocciare

Gli economisti, a maggior ragione quelli dell'IMF, dovrebbero sapere che la matematica non è un'opinione. Se poi pensiamo che i neo-liberisti hanno cercato di convincere il mondo che l'economia non è una scienza sociale, ma una scienza esatta, beh gli errori macroscopici dovrebbero allora davvero essere inaccettabili. Soprattutto se consideriamo l'impatto di questi errori.
Quando fu imposto il pacchetto austerity per la Grecia, all'IMF calcolarono i tagli sulla base del loro impatto sulla crescita futura. Il ragionamento lo conosciamo già. Ridurre la spesa pubblica, riconquistare la fiducia nei mercati, rilanciare l'iniziativa privata. E con i tagli convenuti (meglio dire, imposti) si era detto, nel 2010, che la Grecia sarebbe stata ancora in recessione per il 2011, ma avrebbe perso solo l'1% del prodotto interno lordo. E nel 2012 sarebbe ripartita la crescita. Infatti. L'anno dopo il Fondo rivide le sue stime per il 2011 calcolando un -3%. In realtà -7%. E poi nel 2012 si sono riviste le stime per l'anno corrente, indicando una recessione vicina al 5%. Probabilmente sarà di nuovo -7%.
Il problema principale è che è stato calcolato male il moltiplicatore, ovvero gli effetti che tagli (o, al contrario, spese aggiuntive) hanno sull'economia. Il moltiplicatore è un'indispensabile strumento di analisi economica introdotto da Keynes che spiega quali siano gli effetti finali delle politiche macroeconomiche del governo.

Nella sua versione più semplificata, il moltiplicatore può essere rappresentato in questa maniera:
1/(1-c)
In cui c è la propensione marginale al consumo.
Dunque il valore di questo moltiplicatore dipende dalla propensione marginale al consumo, ovvero quanto viene consumato del reddito e come questo si ripercuote sull'economia. In pratica, un'aumento di spesa pubblica avrà un maggiore impatto sulla domanda aggregata se i destinatari di questa nuova liquidità ne consumeranno una parte consistente (più alto è c, più alto il valore del moltiplicatore), che quindi aumenterà i consumi, mettendo in circolazione nuova liquidità nell'economia tutta, stimolando a ripetizione altri consumi (o investimenti) ogni volta che il denaro passerà di mano. Ovviamente il contrario avverrà in caso di tagli o maggiori tasse (austerity).

Il Fondo Monetario in Grecia e altrove ha calcolato che il valore del moltiplicatore si attestasse tra 0.5 e 1.2. In realtà il suo valore è compreso tra 0.9 e 1.7, quindi gli effetti dei tagli sono notevolmente magnificati. Ed ecco che l'impatto recessivo dell'austerity diventa completamente fuori controllo. Perché si sono fatti questi errori? Ovviamente non è mai facile avere misure esatte, anche se in realtà esistevano già diversi studi che indicavano che il moltiplicatore fosse compreso tra 1 e 1.5. Nel clima politico pro-austerity si è preferito credere a stime diverse o quantomeno non si è voluto procedere con un po' di cautela. Per il Fondo, un mero errore di calcolo. Per i cittadini greci, e non solo, disoccupazione e povertà. Forse è giunta l'ora di cambiare?

Thursday, 8 November 2012

Ad Atene è sempre la stessa storia: botte e tagli

Cambia il governo, rimane lo stesso approccio. Samaras e i suoi fratelli - inclusi gli ex comunisti di Sinistra Democratica - avevano promesso di rinegoziare il pacchetto di tagli imposto dall'Europa. Il premier aveva pure fatto il giro della cancellerie col cappello in mano. Niente da fare. Altro giro, altro regalo. Innalzamento delle pensioni, licenziamento degli statali, riduzione di pensioni e stipendi, blocco del turnover (come se ce ne fosse bisogno: senza soldi e con l'innalzamento dell'età pensionabile, prima che si assuma nel settore pubblico passerà un decennio). Questo perché l'Europa ha detto che bisogna ridurre debito e deficit - ahimè, grazie alla recessione imposta da Berlino e Bruxells debito e deficit sono  ormai fuori controllo e stanno continuando a salire vertiginosamente, il debito sfiorerà il 190% del PIL quest'anno e lo sfonderà l'anno prossimo. Ribadiamolo: grazie alla UE e non per colpa dei cittadini greci.
I nostri governi se ne fregano altamente che i nazisti stiano diventando una forza politica rilevante - le cose andranno peggio ora dopo che anche gli stipendi dei poliziotti, per la prima volta dall'inizio della crisi, sono stati tagliati. Non basta: la maggioranza di Samaras è andata in pezzi: nel PASOK ed in Nuova Democrazia ci sono stati diversi ribelli che hanno votato contro i nuovi tagli. E Sinistra Democratica si è astenuta. Risultato: pacchetto approvato con 153 voti su 300. Paese ingovernabile, maggioranza alla canna del gas. E in piazza Syntagma idranti, lacrimogeni e manganelli. Chissà se la Merkel si ricorderà della sua infanzia in Germania Democratica. Forse no, almeno lì il lavoro c'era e le pensioni le pagavano.

Wednesday, 7 November 2012

Ma i liberisti di sinistra italiani stavano con Romney....

Vero che la parola liberismo e la parola sinistra mal si conciliano. Ma in fondo erano loro a pretendersi simil-progressisti. Il più famoso era Alberto Alesina, da Harvard, che con il buon Giavazzi, qualche tempo fa, aveva provato a convincerci che il "Liberismo è di Sinistra". E come no? Meritocrazia e non censo, libero mercato contro lobby. Tutti dovevamo sperare in un mercato concorrenziale simile a quello americano. Poi era arrivata la crisi dei subprime.... Ma il nostro ovviamente non si è arreso. Non ha studiato e ha continuato imperterrito su la sua strada. Che dalla sinistra l'ha portato a Romney, ma forse in fondo anche questi repubblicani sono di sinistra e siamo noi a non accorgercene. E quindi sul Corriere ha dato il suo endorsement.
A rincarare la dose dei liberisti di sinistra con Romney ci ha poi pensato l'encomiabile Zingales da Chicago, quello che era andato alla Leopolda da Renzi (ahi ahi ahi) a spiegare anche lui che il merito è di sinistra. E che se ne è uscito con un "Manifesto Capitalista", in cui ci viene nuovamente rispiegato che è il libero mercato ad offrire opportunità e che i veri nemici sono le lobby. Addirittura si parla di degenerazione finanziaria del capitalismo. Ed evidentemente anche lui ha visto in Romney l'alfiere di questa rivoluzione.

C'è qualcosa che davvero mi sfugge. Forse è l'idea di sinistra, forse è l'idea di opportunità. Diamo per buono che almeno Zingales di sinistra non ha mai detto di esserlo anche se (o forse proprio perché) si accompagna a personaggi come Renzi. Ma certo tagliare le tasse ai ricchi che in questi anni sono diventati straricchi non è proprio una cosa progressista. Secondo Alesina meno tasse per i ricchi vuol dire più opportunità per chi studia di più e chi lavora più duramente, ma ci sono studi su studi che spiegano che la diseguaglianza in America non è dovuta all'investimento in capitale umano, ma alle leggi hanno blindato il predominio dei ricchi. Un fatto su tutti: nell'America Repubblicana la mobilità sociale è più bassa che in Europa. Come questo si possa coniugare col merito che Alesina e Zingales predicano è davvero un mistero. 
E poi certo, con Obama l'America sta diventando - scandalo! - una nazione socialdemocratica europea, e allora privatizziamo quel poco di pubblico che c'è nella sanità (ma Alesina vive da troppo tempo in America: la differenza tra la nostra sanità e la loro, per fortuna, è ancora abissale). Se poi i voucher di Romney non bastano, poco male, si farà senza cure mediche. Che poi la spesa (privata) per sanità sia la più alta del mondo (leggi, la più inefficiente, alla faccia del libero mercato), poco conta. Il mercato ha ragione a prescindere, anche quando sbaglia.
Fa poi davvero sorridere che i fustigatori delle lobby si schierino con Romney. Alesina fa di più, ci dipinge un America Obamiana in cui le vere lobby sono i sindacati. Già. I super-pac, le corporation che sostengono i repubblicani, la lobby di Wall-Street che preme per fare quello che vuole, salvo poi essere bail-out dallo Stato, quella va bene, no? Lasciamoli liberi di fare quello che vogliono. E poi che facciamo? Li salviamo di nuovo? Ma non ci avevano detto che bisogna ridurre la spesa pubblica? O quella per salvare le banche va bene e quella per dare cure mediche ai malati no.
Ritorniamo al punto di partenza. Liberisti di sinistra. Ecco.

Friday, 2 November 2012

Marchionne, il venditore di fumo

Ormai non passa giorno senza che Marchionne non faccia parlare di sé. E non certo in termini positivi, almeno dal mio punto di vista. Il suo comportamento anti-sindacale viene sanzionato dalla giustizia italiana, ma lui si inalbera, non si fa dare lezioni di democrazia. E ci mancherebbe, la sua idea di democrazia è quella di una fabbrica senza sindacati. Lavoro (anche se per ora soltanto a parole) in cambio di diritti (quelli tolti subito). E fuori pure la stampa ostile dalle fabbriche, che sai mai fomenti gli operai fannulloni che non si vogliono piegare al padrone. Ma tutto ciò non basta. Va bene, sono obbligato a reintegrare gli operai iscritti alla FIOM. Ed allora fuori altri 19, subito mandati a casa - in fondo non sono io che li licenzio, è tutta colpa della FIOM. Un comportamento vigliacco, poveri contro poveri, lavoratori sindacalizzati additati al pubblico ludibrio perché rubano pane e lavoro ai colleghi. Tale squallore ha addirittura indignato Passera e, incredibile!, pure Lady Fornero, che di licenziamenti facili se ne intende.Sembrerebbe roba da padrone del vapore dell'800, se solo Marchionne fosse un vero industriale. Ma no, lui ha solo la spocchia del padrone, ma senza la capacità imprenditoriale.

Ora cerca di nuovo di vendere fumo, una sorta di nuova Fabbrica Italia. In una intervista sdraiata del Corriere (non a caso sta volta non a firma Mucchetti) annuncia che resterà in Italia, anzi che investe, vuole fare concorrenza ai tedeschi. Mamma mia, addirittura. Quelli che vendono macchine migliori di quella della FIAT a metà del prezzo? Una rivoluzione copernicana. Peccato che nuovamente bisogna solo fidarsi dei suoi proclami. Dettagli non ne dà, ci mancherebbe. Anzi, si riconosce solo un errore, quello di aver annunciato Fabbrica Italia in anticipo. Quando poi le cose non sono andate come previsto (ma è tutta colpa del mercato, la recessione non l'aveva prevista) i suoi denigratori l'hanno "impiccato" sui dettagli cambiati (miliardi di investimenti cancellati, fabbriche che chiudono, cassa integrazione invece di occupazione, dettagli, ovvio).
Quindi nessun dettaglio, solo un annuncio, roba alla Berlusconi dei giorni migliori. A cui, come con Berlusconi, abboccano tutti i tonti, finti tonti o lacchè - a cominciare da quei sindacalisti prese per il naso per gli ultimi 2 anni. Ma attenzione, a legger bene l'intervista si capisce subito che Marchionne sta di nuovo bluffando. Investe (meglio, vuole investire) nell'Italia di Monti, sapendo che, probabilmente, Monti se ne sarà andato nel giro di pochi mesi. Così come i supposti investimenti Fiat.

Thursday, 1 November 2012

L'ultima finanziaria di Monti: più tasse ai poveri

E così è saltata la detrazione IRPEF per i redditi più bassi. Il provvedimento più simbolico è finito nel cestino ma in realtà cambia assai poco. Anzi, nulla. Per settimane governo e maggioranza hanno sbandierato che finalmente era iniziata la diminuzione delle tasse, ma in realtà ad una piccola, piccolissima diminuzione si contrapponeva un aggravio di altre imposte (l'IVA, soprattutto) ed una serie di tagli indiscriminati. La verità è venuta tutta fuori con la marcia indietro del governo: le maggiori entrate per le famiglie che sarebbero derivate dalla riduzione IRPEF erano in realtà totalmente coperte dagli interventi sulle detrazioni fiscali, addirittura retro-attivi ed incostituzionali. Un gioco delle 3 carte, ti do 2  euro e te ne tolgo 1.5 quest'anno e un'ulteriore 1.5 per l'anno scorso. Altro che tecnici, commedianti da strada. Ora l'IRPEF viene lasciata intatta ma gli interventi sulle detrazioni rimangono, seppur non più retroattivi. L'aliquota al 10% dell'IVA non viene toccata, ma quella media passa dal 20 al 21%. Una pesante riduzione sia di salario che di potere d'acquisto per i cittadini, proprio quello di cui c'è bisogno per uscire dalla crisi. Mentre continuano i tagli più odiosi, dall'accompagnamento per gli handicappati al fondo per i malati di SLA. Il famoso governo dell'equità sociale.
Un governo che ha portato il paese in recessione, con i peggiori risultati economici dell'area Euro se escludiamo la Grecia. Mentre gli altri arrancano, noi sprofondiamo. Intanto il debito sale. E tutto quello che Monti, Grilli e Fornero sanno fare è pugnalare alle spalle cittadini, lavoratori e malati. Per poi magari dire che hanno salvato l'Italia.

Thursday, 11 October 2012

Il peggior banchiere centrale del mondo

Global Finance Magazine anche per quest'anno ha dato le pagelle ai banchieri centrali di tutto il mondo. E il premio come peggior banchiere è stato vinto dalla governatrice argentina Mercedes Marco del Pont.
Come mai? Molto semplicemente la signora Marco del Pont ha deciso di staccarsi dalla solita, stantia litania monetarista. Ha cambiato lo statuto della Banca Centrale e ha deciso che gli obiettivi perseguiti dalla politica monetaria argentina non si riducono al controllo dell'inflazione.
Scandalo! Vergogna! La stolta banchiera ha deciso che tra i compiti della sua istituzioni ci sono anche la stabilità finanziaria, la creazione di posti di lavoro, lo sviluppo economico e l'equità sociale.
Addirittura l'equità sociale, questo sembra davvero intollerabile per i circoli finanziari del mondo. Ma come ci si permette di mettere becco in quello che fanno i mercati per questioni così futili! D'altronde lo sanno tutti, la mano invisibile mette a posto tutto, teniamo l'inflazione sotto controllo e tutto funzionerà perfettamente. Ed invece la signora Mercedes non ha capito nulla, ed infatti perdendosi dietro alla rincorsa delle farfalle ha lasciato che l'inflazione raggiungesse il 9.8% quest'anno. Una roba mai vista.

Lasciando stare la mitologia che l'inflazione sia questa tremenda piaga (e non lo è, soprattutto in un paese in via di sviluppo che deve crescere),  manca veramente il buon senso a tutti questi economisti liberali e questi finanzieri che nulla sanno di vita reale. Si accusa la governatrice argentina di fare male il suo lavoro, ma la disoccupazione in quel paese è al 7.5%. Toccherebbe chiedere ai disoccupati greci, spagnoli ed italiani, cosa ne pensano. La crescita economica sostenuta degli ultimi 10 anni ha portato l'economia argentina fuori dalla drammatica crisi finanziaria in cui proprio una versione hard-core del monetarismo l'aveva portata. Certo tutto questo è avvenuto facendo di testa propria, non seguendo i consigli del Fondo Monetario Internazionale, quelli che dicevano di tagliare stipendi, pensioni e posti di lavoro - ma di tenere, sia chiaro, sotto controllo l'inflazione! E che uno faccia di testa propria è davvero inaccettabile. Ma certo, se avessimo la signora Mercedes Marco del Pont a capo della BCE vivremmo tutti in un'Europa più democratica, più giusta ed un po' meno povera.

P.S. Davanti a prove così schiaccianti di stregoneria, Christine Lagarde, direttrice del FMI ha minacciato di "cartellino rosso" l'Argentina. Prorio quello stesso FMI che fu cacciato da Buenos Aires a calci in culo dal vecchio presidente Kirchner. Ci possiamo solo immaginare le risate alla Casa Rosada.
P.P.S Date un'occhio al resto della lista: alcuni di questi governatori saranno anche incapaci di tenere sotto controllo i tassi di interesse, ma con la disoccupazione al 2%, cosa ci fa, ad esempio il Vietnam in questa lista?

Tuesday, 9 October 2012

L'arroganza della tecnica

Ci risiamo. Davanti ad uno sforzo unitario della politica per rendere più umana la riforma delle pensioni ecco che il Ministro Fornero alza un muro invalicabile. I partiti presenti in Parlamento hanno trovato un accordo bipartisan (e non è poca cosa!) per rendere un minimo più graduale l'innalzamento dell'età pensionabile. Ma per Fornero questo vorrebbe dire smontare la riforma. E quando mai? La natura della riforma non viene assolutamente cambiata, si introducono semplicemente degli scalini da qui al 2017 per prendere in considerazione la situazione di lavoratori che, dopo aver lavorato una vita ed esser arrivati vicini al traguardo, si sono visti cambiare le regole dalla ministra.
Addirittura la signora minaccia ripercussioni anche in sedi internazionali nel caso vengano prese misure "non adeguatamente ponderate". Da che pulpito! Fu ponderata la sua riforma? Dopo aver studiato il sistema previdenziale una vita, Fornero non si accorse che la sua riforma creava il gigantesco problema degli esodati - cosa che in qualsiasi paese normale avrebbe portato al "pensionamento" immediato del Ministro in-competente. Ma evidentemente a UE e mercati internazionali vanno bene le riforme approssimative a raffazzonate ma non gli interventi a favore dei lavoratori.
Nella logica del Ministro bisogna semplicemente spremere al massimo il lavoro. Ed i primi dati sui pensionandi con lavori usuranti stanno lì a dimostrarlo. Su 12 mila domande, meno di mille sono state accettate, visto che i paletti burocratici ideati dalla riforma rendono virtualmente impossibile accedere ai diritti di chi ha fatto un lavoro che gli ha rotto la schiena. 930 domande accolte su 235 mila lavoratori andati in pensione nel 2011 - questa sarebbe la quota dei lavori usuranti nell'economia nazionale che quella brillante riforma ha artificialmente creato. L'ennesima presa in giro all'italiana.

Saturday, 6 October 2012

Le banche italiane uniche in Europa ad aumentare i tassi. Ed il governo?

Su Economonitor un dato non riportato dai nostri media ma di straordinaria importanza. Da quando Draghi ha impegnato la BCE nel salvataggio dell'Euro, i tassi di interesse sono scesi in tutta Europa - molto semplicemente le banche si sono sentite rassicurate sulla sopravvivenza dell'Euro e quindi più sicure sui loro prestiti. In tutta Europa, ma non in Italia:


Cambi nei tassi applicati sui mutui



Cambi nei tassi corporate (non finanziarie)

Fonte: Economonitor


In poche parole, il costo del denaro è sceso in tutta Europa - in maniera modesta e per ora ininfluente, ma questo è un altro discorso - mentre in Italia continua a salire. Mentre l'economia reale sta soffocando, le banche continuano a stringere il cappio. Dov'è il governo? Dov'è Passera? Qualcuno batta un colpo



Thursday, 4 October 2012

L'Ilva, una storia italiana

La vicenda dell'ILVA è lo specchio dell'Italia degli ultimi 20 anni. Una commistione tra politica malata, impresa spietata, regole che non esistono, povertà ed emarginazione.
Iniziamo da qualche fatto.
Fatto 1: L'Ilva è una impresa più che redditizia, fa profitti a valanga, quindi i problemi attuali non sono certo dovuti alla crisi o ad un prodotto ormai obsoleto.
Fatto 2: L'Ilva, ex impresa pubblica, fu privatizzata, nel non troppo lontano 1995, ed acquistata dai Riva.
Fatto 3: i Riva, tra le altre cose, hanno partecipato alla cordata capeggiata da Passera per salvare Alitalia, pur dichiarando: "non sarà un investimento redditizio".
Fatto 4: l'Ilva inquina da anni senza che gli si dica nulla
Fatto 5: quando son stati rivisti i parametri ambientali per quel che riguardava l'Ilva c'era il governo Berlusconi, principale sponsor della cordata Alitalia
Fatto 6: il direttore generale del Ministero dell'Ambiente era Corrado Clini, che oggi fa il Ministro e rivendica il diritto del governo ad ignorare una sentenza di un tribunale perché, evidentemente, la politica sta al di sopra della legge (vedi alla voce Batman)
Questi i fatti. Proviamo a collegarli. Negli anni 90 inizia in Italia l'epoca delle privatizzazioni all'amatriciana, con imprenditori ben agganciati che si portano a casa fior di aziende, spesso per una frazione del loro valore. La retorica è sempre la stessa, lasciamo fare al mercato e tutto andrà bene. In realtà si tratta di uno scambio di favori, tra politica ed imprenditoria. I Riva ne sono l'esempio più concreto, si fanno dare un'impresa redditizia, fanno soldi a palate ma non li reinvestono nell'azienda (a cui carico c'è il rispetto delle leggi e la salvaguardia dell'ambiente) ma in manovre politiche per favorire il potente di turno. Che si sdebita a suo modo, chiudendo un occhio sul cataclisma ambientale provocato dall'Ilva. Tutti contenti. Beh, non proprio tutti.
Tumori, morti, case invase da polvere nera, Taranto diventa una polveriera tanto che pure la magistratura deve intervenire. Ed allora si scatena la guerra tra poveri, tra chi vuole il lavoro e chi vuole la salute. Ma perché? Le 2 cose non sono in contraddizione. Acciaierie ne esistono altrove, non solo a Taranto, e non creano questi problemi. Non c'è la polvere che invade le case, non ci sono i tumori.
Ma per l'Ilva è diverso. Ci si può permettere di ricattare la politica perché senza Ilva l'industria italiana morirebbe. Ed ecco allora i soliti noti che cominciano il loro gioco sporco. In campo Sole24ore e Confindustria, in campo il governo dei professori che vuole aggirare una sentenza del tribunale. In campo, messo dal governo, un vecchio arnese della politica italiana, il prefetto Ferrante, un uomo per tutte le stagioni: uno che nega che l'Ilva inquini, nonostante tutti i dati dicano diversamente. Uno che organizza gli scioperi dei lavoratori, il blocco del traffico, e fa pure portare loro pasti e bevande. E poi ha il coraggio di negarlo in Tv, pur smentito dai suoi stessi dipendenti.
A personaggi di sto genere, ai Riva, ai Clini, ai Ferrante è affidato il futuro dell'Italia. Ma lo squallore non è certo dovuto solo a loro, al massimo comparse di bassa lega in questa tragedia. Se scaviamo un po' più in profondità troviamo domande inquietanti. Qualcuno dovrebbe iniziare a spiegarci perché un'industria strategica, che è fondamentalmente monopolista nel mercato dell'acciaio e che si trova a monte del tessuto produttivo italiano sia stata privatizzata. Non era il caso di tenerla pubblica, data la sua importanza, dato che il suo funzionamento và al di là delle leggi che impegnano tutte le altre imprese di questo paese? E perché gli imprenditori privati in Italia si sentono in diritto di fare quello che vogliono? E perché in Italia i liberali che stanno al governo se ne fregano della rule of law e si comportano come neanche i peggiori statalisti? Quale è il gioco sporco che si è fatto dietro le quinte in Italia in questi anni - gli anni in cui Prodi dismetteva le partecipazioni statali, D'Alema privatizzava e Berlusconi organizzava cordate? Chi ci ha guadagnato, chi continua a guadagnarci e chi ci ha perso, magari pure la vita?
E' questo intreccio soffocante, questa piovra di soliti noti, di politici, tecnici, padronato senz'anima e perché no? sindacati complici, che sta uccidendo l'Italia. Proprio come l'Ilva sta uccidendo Taranto.

Monday, 1 October 2012

Il patto di stupidità ed il rigore europeo

La notizia non è sorprendente per gli addetti ai lavori ma ha comunque del clamoroso. Un ex funzionario francese, Guy Abeille, ha svelato le genesi del patto di Maastricht ed in particolare della parte che obbliga gli stati aderenti a non superare il 3% di deficit rispetto al GDP (ormai superato dai fatti col fiscal compact). Questo numero è stato per anni l'alfa e l'omega della politica economica di tutti gli stati europei, obbligati ad adeguarsi manco parlassimo di tavole della legge. Ma dietro il 3% non c'è nessun raffinatissimo studio comparato, né ricerche approfondite. No, le cose andarono diversamente:

"La decisione di adottare il parametro del 3% la prendemmo in meno di un'ora. Era un calcolo fatto sul retro di una busta, senza nessuna riflessione teorica. Mitterand aveva bisogno di una regola facile da poter usare nelle discussioni con i ministri che venivano nel suo ufficio a chiedere soldi.....Avevamo bisogno di qualcosa di semplice. Il 3? Era un buon numero che resse alla prova del tempo ed in qualche modo ricordava la Santa Trinità"

Qualcuno, una volta, lo chiamò patto di stupiditià, ma questa è l'Europa in cui viviamo.

Tuesday, 25 September 2012

Fenomenologia di Marchionne

Personaggio sempre intrigante questo Marchionne. Per un paio d'anni ci ha rintronato con la retorica sulla modernità, lui ci metteva la faccia, voleva investire - addirittura! - 20 miliardi, non chiedeva aiuti di Stato, voleva solo che i lavoratori rinunciassero ad un po' di diritti per riempire le tasche degli azionisti FIAT.
E va beh, dici, il classico manager americano, uno sfruttatore ma porta un po' di sano (mica tanto) liberismo. Sbagliato: la FIAT ai tempi di Marchionne prendeva soldi dallo Stato in Polonia, in Serbia ed in Brasile, altro che uomo del mercato. Non parliamo della baraccata di soldi presi in USA, vantandosi poi di aver rimesso in piedi Chrysler - sì, coi soldi di Obama. Ed ora, quando il piano da 20 miliardi si è sciolto come neve al sole, ecco il Marchionne che batte cassa: "l'auto funziona dove ci sono aiuti di Stato". A parte il fatto che non è vero - basta guardare la Germania - eccolo qua il manager moderno: non è capace di competere ed allora ciuccia i soldi dello Stato, cioè dei contribuenti - categoria, è giusto ricordarlo, a cui Marchionne non appartiene, pagando le tasse (poche) in Svizzera.
Il nostro però non si accontenta di chiedere soldi, dispensa anche perle di saggezza mischiate ad avvertimenti in stile mafioso. FIAT rimarrà in Italia ma solo se il paese si modernizza, e cosa questo voglia dire per Marchionne lo sappiamo già: più sfruttamento del lavoro. E comunque in 5 ore di colloquio Monti non è riuscito a strappare una garanzia che sia una, dimostrando per altro di quale modesta caratura stiamo parlando.
Ma il problema di fondo di Marchionne lo avevamo già identificato due anni fa: questo signore non è un industriale, non è neanche un manager, è un finanziere e di conseguenza si comporta. Antropologicamente non ha la capacità di comprendere cosa sia la produzione di merci. Non ha la minima idea di cosa voglia dire fare industria di cosa siano i saperi costruiti nel corso di decenni, di cosa sia il capitale umano. Pensa infatti che i lavoratori siano solo merce da spremere e poi buttare. Per lui il capitale è liquido e si muove, non può capire le lentezze strutturali dell'industria. Il denaro non ha storia, l'impresa si.
Economicamente non è in grado di comportarsi da industriale. Il capitalismo di Schumpeter era, è, quello della distruzione innovatrice, ogni crisi porta ad un rinnovamento e l'industria è come un'Araba Fenice che risorge dalle sue ceneri. E dunque i veri capitalisti investono in innovazione anche e soprattutto nei momenti di crisi, ed infatti Volkswagen e la maggior parte delle altre case automobilistiche in questi anni hanno investito in nuovi modelli anche col mercato dell'auto in caduta libera. Marchionne no, e lo rivendica: non si investe quando il mercato non tira. Ma questo è vero per un finanziere che blocca tutti gli investimenti finchè il mercato è in discesa, e compra solo quando il trend cambia. Come un trader di borsa, l'orizzonte temporale di Marchionne dura lo spazio di un mattino. Ottimo per tenere i conti in ordine, nel breve periodo. Ma con nessuna possibilità di rilanciare una impresa che ha bisogno come il pane di investimenti e progettualità.

Wednesday, 19 September 2012

Democrazia ed Economia - 3: le leggi del mercato

In questo caso non sono leggi teoriche, ma vere e proprie normative. Succede in Honduras, posto perfetto per l'ennesimo esperimento social-economico del capitalismo. L'idea è della MKG, una società immobiliare americana che costruirà una città sulle coste del Pacifico, in Honduras. Ma non farà parte dell'Honduras. Non a tutti gli effetti almeno. Non varranno le leggi civili dello Stato centroamericano - quelle penali, almeno inizialmente si, poi più tardi chissà, magari si potrà depenalizzare la schiavitù. Sarà il Consiglio di Amministrazione a stabilire le leggi che regolano i rapporti civili - tipo livello di tasse, garanzie sindacali, orario di lavoro, ordine pubblico (che so, vietiamo la sciopero e le manifestazioni!) e via dicendo.
Si tratta, bisogna ammetterlo, di una idea brillante. A fare lobby si perde troppo tempo e poi trovi sempre qualche populista che ti pianta delle grane. Se invece le leggi te le fai da te, risparmi tempo, denaro, e sei sicuro del risultato.
Non si sa come mai non ci abbia pensato per primo il nostro Marchionne, che avrebbe potuto chiedere di privatizzare Torino. Magari avrebbe lasciato sindaco Chiamparino che non rompeva poi troppo ma si sarebbe pure potuto accontentare di Fassino.
In fondo il risultato non sarebbe molto diverso, si cambiano le leggi ed i diritti in base ai bisogni del padrone di turno che in cambio promette (e chissà, qualcuno manterrà pure) lavoro e paga per tutti, o quasi. Qui il problema lo si risolve a monte, facendosi direttamente le leggi ed esautorando Stato e Parlamento - una conseguenza logica di quasi quarant'anni di liberismo. Ci hanno detto che il mercato funziona e lo Stato no. Ed allora dello Stato che ce ne facciamo? Qui si tratta di soldi, investimenti, posti di lavoro, sarà meglio lasciar fare a chi ci sa fare. E gli investitori vogliono profitti, mica gente che chiede servizi pubblici o rispetto dell'ambiente. Ogni cosa, in fondo, ha un suo prezzo.

Monday, 17 September 2012

FIOM esclusa

La vicenda FIAT si potrebbe definire una farsa se non finisse per pesare, come sempre, sulla pelle di migliaia di lavoratori che rischiano (eufemismo) di restare a casa mentre Marchionne ingrassa i suoi profitti da evasore in Svizzera.
Ma che Marchionne fosse il classico personaggio da operetta tutta italiana (altro che manager apolide che vive sui 2 lati dell'Atlantico) lo si era capito da un pezzo. Da quando cercò (e riuscì) a far pagare il peso della sua incapacità di manager ai lavoratori. Da quando in piena crisi, invece di innovare, come i suoi concorrenti, decise di non lanciare nuovi prodotti, preferendo pagare dividendi che venivano da operazione finanziarie invece che industriali. Da quando svendette il patrimonio di know-how e di tecnologia della FIAT alla Chrysler - e ci domandiamo perchè gli americani fossero contenti?? Da quando davanti alla sua incapacità di competere sul mercato dell'auto pensò bene di dar la colpa ai concorrenti - leggi Volkswagen - che avevano il torto di far profitti.
Gli unici a fingere di non averlo capito furono politicanti e sindacalisti venduti. Quelli che "fossi un operaio voterei per il piano Marchionne senza se e senza ma" (Renzi, Fassino, Chiamparino, quello che ora è andato a dirigere una fondazione bancaria che fa capo ai principali finanziatori di FIAT, il gruppo San Paolo); quelli che "il diritto cui teniamo è quello al lavoro" (Bonanni e Angeletti), anche se ora non ci sono diritti e non c'è lavoro; e quelli che "il problema dell'industria italiana è il costo del lavoro" (Monti, Fornero ma non dimentichiamoci dell'eterno Ichino, uno che è diventato parlamentare grazie ai studi che di scientifico non hanno nulla e di cialtronesco molto, se non tutto). Ecco, la debacle dell'industria italiani ha molti padri, ma certo non la FIOM.
Certo non la FIOM che, sola, villipensa, insultata, derisa, si schierò contro il piano Marchionne. Non capivano, questi sindacalisti, come cambiavano le relazioni industriali del futuro, guardavano ancora al Novecento, forse addirittura più indietro. Beata ignoranza. I soloni che alternavano giudizi sprezzanti a fuorbite analisi sul futuro dell'industria dovrebbero forse andare a lezioni di politica industriale da uno che di industria se ne intende, tal Cesare Romiti che accusa senza mezzi termini Marchionne ma fa notare che non si possono scaricare tutte le colpe su di lui. Dov'era, si domanda Romiti, il sindacato: "Il principale colpevole è il sindacato assente, Fiom esclusa".
Eh già, perchè anche se appare Novecentesco, il compito del sindacato non è di far da servo al padrone - per quello bastano già i politici venduti. No, il compito del sindacato sarebbe quello di controllare le scelte padronali, di guardare i piani industriali, di proporre alternative. Quello che ha fatto la FIOM. Cui forse, ora, sarebbe doveroso rivolgere delle scuse. 

Wednesday, 12 September 2012

Democrazia ed economia - 2: la trappola di Draghi

La mossa della BCE di comprare titoli di debito sul mercato è un passo nella giusta direzione. Sarebbe dovuto anzi essere introdotto molto tempo fa, si sarebbero risparmiati disagi e problemi per Spagna ed Italia ed anche la Grecia - il cui ammontare di debito è relativamente piccolo - sarebbe potuta essere tratta in salvo. Infine la BCE ha deciso di fare quello che tutte le altre banche centrali fanno, usare il proprio illimitato potere di fuoco per rendere irrealistico un attacco speculativo contro un debito sovrano.
Ma è veramente così, e qual'è il prezzo di questa scelta? In realtà il piano Draghi pone una forte condizionalità, gli Stati che decideranno di ricorrere all'aiuto della BCE saranno costretti a riforme economiche decise a Francoforte. Si tratta di un unicuum, nessuna banca centrale al mondo ha il potere di imporre le politiche al proprio stato, qui addirittura abbiamo una istituzione europea il proprio potere sugli stati membri - la sovranità non è più nelle mani del popolo ma dei banchieri centrali.
Una delle colonne del neo-liberismo negli ultimi 30 anni è stata l'indipendenza delle banche centrali, un concetto estremamente anti-democratico visto che questo semplicemente significa che mentre la politica fiscale è decisa dal Parlamento e quindi dagli elettori, la politca monetaria - l'altro bastione della politica economica - è decisa da un gruppo di tecnici senza nessun controllo politico. Per altro la Banca Centrale è un organismo non completamente pubblico nel cui consiglio di amministrazione siedono i principali banchieri privati. In sostanza si è privatizzata una parte fondamentale dell'attività di governo, a solo uso dei mercati. Ora non solo la BCE rimane indipendente, ma mette sotto controllo gli stati, riducendo Parlamenti - ed elezioni - ad una farsa. 

Monday, 10 September 2012

Democrazia ed economia - 1: Napolitano e le elezioni

Ormai non si sa più cosa dire per commentare le parole del Presidente della Repubblica. Dovrebbe essere al suo posto per garantire la difesa della Costituzione, invece pare sempre più chiaro che siede al Quirinale per garantire un certo tipo di classe politica ed un certo tipo di scelte economiche.
Non ha battuto ciglio, anzi ha applaudito, quando si violentava la Carta con l'obbligo di pareggio di bilancio, legando mani e piedi a future maggioranze che non potranno, legittimamente, decidere di adottare una politica di deficit-spending, se così vorranno gli elettori.
Ancor peggio ha fatto nello scorso weekend, quando ha ammonito i partiti in vista delle prossime elezioni. Voi confrontatevi pure in campagna elettorale, ma ci sono comunque io a vigilare che gli impegni presi con l'Europa - fiscal compact, tagli, etc etc - vengano rispettati. E perchè mai? Se una maggioranza di elettori votasse per partiti contrari a questi provvedimenti, che autorità potrebbe mai avere Napolitano per impedire i cambiamenti? Ancor di più, se ci fosse un voto chiaro di uscita dall'Euro, Napolitano potrebbe usare tutta la sua moral suasion, ma dovrebbe rispettare i risultati elettorali. Perchè, almeno finora, la democrazia si basa su quel che decidono gli elettori, non su cosa vuole il Presidente della Repubblica, Monti o i mercati internazionali.
Non si tratta di un giudizio di merito su certe politiche - che sono comunque sbagliate - ma di un problema di metodo che nulla ha a che fare con la democrazia. Anzi, l'obiettivo pare proprio svuotare di qualsiasi contenuto prettamente politico le prossime elezioni, che dovrebbero essere consultazioni per approvare, comunque, l'operato della classe dirigente. Una sorta di elezioni sovietiche, come quelle cui si era abituato Napolitano da giovane.
Per fortuna questo orribile settennato sta finendo, speriamo con un normale semestre bianco e non con un golpe dello stesso colore. 

Thursday, 9 August 2012

Le inutili proposte del governo per abbattere il debito

L'Italia è in recessione del 2.5%, come per altro avevamo già anticipato. L'economia va male in molte parti d'Europa, dalla Spagna alla Grecia alla Gran Bretagna e presto potrebbe entrare in recessione anche la Francia, quindi si tratta di un problema generale e non solo italiano. Ma le responsabilità del governo sono enormi, con manovre fiscali che hanno avuto il solo obiettivo di rimetter momentaneamente a posto i conti pubblici anche a costo di uccidere l'economia reale - il che porta ad un ulteriore peggioramento delle finanze dello Stato.
Anche il governo deve essersene reso conto ed ha partorito in queste ore un piano per ridurre l'ammontare del debito, un passo fondamentale per riconquistare la fiducia dei mercati e liberare risorse per ora bloccate dal servizio del debito. Purtroppo il piano del governo è destinato a fallire miseramente e potrebbe addirittura peggiorare la situazione. L'idea di Monti (o meglio, quella di Amato e Bassanini) è ridurre il debito attraverso la dismissione di immobile e la vendita di partecipazioni statali. Ma è difficile pensare che queste misure da sole possano bastare.
Per quanto riguarda gli immobili, già in questi anni le aste delle caserme dismesse sono andate deserte. Nessuno ha liquidità, o coraggio, per investire in grandi operere edilizie. Ed anche il mercato delle case è in crollo, data la difficoltà di accendere un mutuo per molte delle famiglie italiane. In una situazione di questo genere il governo finirebbe per vendere sotto prezzo, trasferendo a prezzo scontato risorse pubbliche ai soli in grado di permettersele, i soliti noti che hanno accumulato ricchezze faraoniche nel corso degli ultimi 20 anni.
Per le partecipazioni statali il rischio è anche maggiore. In questo periodo di turbulenza sui mercati finanziari i prezzi delle azioni di molte partecipate, a cominciare da ENI ed ENEL sono scesi e dunque, nuovamente, si tratterebbe di vendere sotto prezzo. Ma vendere poi a chi? Vendere porti ai cinesi? O Finmeccanica agli indiani? Le partecipate statali sono industrie strategiche su cui bisognerebbe investire invece di dismetterle. Proprio ieri il ministro Fornero ha cantato le lodi dell'industria, indispensabile per la ripresa, e noi vogliamo venderla, probabilmente a stranieri, con piani economici che poco avrebbero a che fare con i bisogni della nostra economia?
La strada maestra per ridurre il debito rimane la patrimoniale che il governo invece ostinatamente nega, adducendo effetti recessivi sull'economia. Certo se la patrimoniale colpisse tutte le famiglie indiscriminatamente gli effetti recessivi sarebbero devastanti. Per molte famiglie medio-povere, la maggioranza, una tassa sul patrimonio, come già l'IMU, si tradurrebbe in una tassa sul reddito diminuendo così i consumi. Ma una patrimoniale, alta o molto alta, sui redditi elevati, non avrebbe questo impatto. Come noto a qualsiasi economista, una riduzione della ricchezza privata non ha effetti recessivi, se non marginali, perchè non tocca nè la spesa per investimenti, nè quella per consumi. I ricchi continuano a macinare soldi, le loro entrate non calerebbero, mentre una parte del loro patrimonio verrebbe prelevata dallo stato. In questa maniera si potrebbe far calare in maniera notevole il debito pubblico, magari accompagnando tale misura con dismissioni ad hoc, che potrebbero comunque essere effettuate in un secondo momento con un'economia in crescita e prezzi in salita.
Per altro si tratterebbe di una scelta giusta dal punto di vista etico. In un paese con la diseguaglianza alle stelle, un riequilibrio dei patrimoni, se non ancora del reddito, sarebbe un segnale importante. Una società più giusta è una società più sana, con meno tensioni, meno problemi ed una economia migliore. Ma non pretendiamo da Monti scelte eticamente condivisibili. Ci accontenteremmo che facesse quello che è giusto dal punto di vista economico. Una speranza vana, purtroppo.

Tuesday, 31 July 2012

Marchionne, il mercato e il vecchio vizio della FIAT

La scorsa settimana Marchionne ci ha dato una perfetta spiegazione sul perchè la FIAT sia in crisi nera ed in netto calo di vendite. Per un paio d'anni le responsabilità sono state date alla FIOM ed ai lavoratori che non si decidevano a lavorare a ritmi cinesi e salari indiani. Nello stesso periodo, i lavoratori della Volkswageni, a salari molto più alti, prendevano un premi di produzione di 6000 euro.
Si è parlato allora di mercato saturo e crisi generale dall'auto. Ormai non si riesce più a vendere, soprattutto in Europa. Ma Volskwagen negli ultimi 2 anni ha incrementato le vendite.
Ed allora, ovviamente, la colpa, secondo Marchionne, è della Volskwagen, perchè no? L'ad di FIAT ha dottamente spiegato che è la politica dei prezzi agressivi della casa tedesca a distruggere il mercato. Ma Volkswagen non vende sottocosto, gli utili continuano a salire.
E di cosa si lamenta allora, Marchionne? Volskwagen dovrebbe forse fare una politica di prezzi tale da favorire FIAT e la sua scarsa competitività? Dovrebbe tenere i prezzi alti e unirsi alla debacle della casa torinese?
Marchionne che si vanta tanto della sua internazionalità forse non conosce molto bene il significato della parola competizione. In mercati competitivi il tuo avversario abbassa il prezzo al margine per vendere sempre di più. Evidentemente i tedeschi, nonostante paghino salari più alti, sono più efficienti e hanno macchine migliori. Invece Marchionne incarna perfettamente il vecchio vizio italiano e della FIAT, che quando le cose non vanno è sempre colpa di altri e che in fondo sarebbe necessario qualche aiuto extra, se non dallo Stato magari dai concorrenti.
E se invece fosse che Marchionne è un incapace?

Wednesday, 25 July 2012

Una tregua olimpica per i mercati

Ai tempi dell'antica Grecia i giochi olimpici erano un momento sacro che portava insieme tutta l'Ellade. Sparta, Atene, Tebe erano tutte insieme per gareggiare e onorare gli Dei e tutte le divisioni e guerre erano temporanemante sospese.
Forse la Grecia ha ancora qualcosa da insegnarci. Tra 2 giorni iniziano le Olimpiadi di Londra che porteranno nella capitale inglese atleti di tutto il mondo che sfileranno insieme nel nuovissimo stadio di Stratford. Ma il mondo non è in pace. L'Europa è scossa dai venti di una guerra nuova ma pur sempre sanguinosa. I mercati hanno distrutto le finanze di Grecia, Spagna, Italia, Portogallo e Irlanda, la disoccupazione sale vertiginosamente, 1 giovane su 2 è senza lavoro, la gente non arriva a fine mese.
Sarebbe bello che almeno per le due settimane dei giochi olimpici questa pazza guerra si fermasse. Aspettarsi che possa succedere volontariamente equivale circa a sperare in un intervento di Zeus dal Monte Olimpo. Ma qualcosa si potrebbe comunque fare. Per esempio vietare in tutto il mondo le vendite allo scoperto, magari insieme ad una tassa olimpica sulle transazioni finanziarie. I governi del mondo uniti contro i nuovi barbari.
Sognare, almeno durante i Giochi, non è vietato.

Tuesday, 24 July 2012

Danke mr Euro

I numeri a volte servono più di mille parole. Ed allora vediamo qualche numero, iniziando con il surplus commerciale della Germania negli anni dell'Euro:

https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgEWH6t7YIVpGk6M0HZOG6r3Y8rPeWmAIc1nNzMF3RSJM6dXoNeO3GVgOel_MB7GcEQ3w6hdyqG36LZ1RPJhjGdeE5-EC9cG2y58AfvB4Ohwm5YKe8_XIKzhNxnQ-g2GskJXqr8KUIvIQ7F/s1600/euro+germany.png


fonte: Sudden Debt

Esattamente in coincidenza con la nascita dell'Euro la Germania ha quadruplicato il suo avanzo commerciale. Bravi loro con le riforme strutturali del governo Schroeder, ma bravo soprattutto l'Euro che ha bloccato la possibilità per le altre economie continentali di svalutare e tenersi competitive. 
Per altro le riforme (leggi: repressione salariale) che hanno reso la Germania così competitiva sono state effettuate in ben altro contesto. Da una parte le economie europee crescevano, assorbendo la capacità produttiva tedesca nonostante una diminuzione dei consumi interna. Dall'altra il governo di Berlino espandeva il suo debito pubblico, infischiandosene dei paramentri di Maastricht:


http://www.economonitor.com/wp-content/uploads/2012/07/Harrison-7-17-12.jpg
Fonte: Ecomonitor

Dal 2000 in avanti la Germania non ha mai rispettato i vincoli comunitari (con l'eccezione del 2007 e del 2011), ma ora ovviamente è inflessibile col debito altrui. In sostanza chiede a Spagna, Italia e Grecia di fare esattamente l'opposto di quello che è stato fatto in Germania, ovvero forzare una deflazine interna senza un internvento anti-ciclico dello Stato e senza il supporto dei propri vicini.
Se guardassero i numeri i tedeschi forse la smetterebbero di fare la morale a tutti e comincerebbero a fare la loro parte.






Thursday, 19 July 2012

Il mito dell'austerity baltica

E' ormai qualche mese che tra economisti e policy-makers europei gira una storiella su come l'austerity possa funzionare bene, se implementata nella maniera giusta. I casi riportati sono quelli dei paesi baltici che dopo il 2009 hanno effettuato tagli nell'ordine dell'8-9% del PIL e che l'anno scorso hanno registrato una crescita considerevole, attorno al 6%.
Bravi questi baltici/nordici, mica come i lavativi del meditteraneo, Italia, Grecia e Spagna che tanto si lamentano e non vogliono fare i compiti a casa. Chissà, sarà colpa dei sindacati, di governi non abbastanza seri (ed infatti si richiedono tecnocrati), magari della nostra poca flessibilità, o forse del carattere meditteraneo.
O forse sarebbe bastato studiare un pò di geografia. La posizione e la dimensione contano. I paesi baltici son piccoli, ed i fondi della UE valgono fino al 20% del budget, una bella iniezione di liquidità durante l'austerity. Nessuno prospetta tali sostegni ad economie più grandi...
L'emigrazione, inoltre, ha ridotto le conseguenze sociali dei tagli, tenendo sotto controllo il tasso di disoccupazione - circa il 2% della popolazione ha lasciato la Lituania nel 2011. Pare improbabile che l'economia europea possa assorbire il 2% della popolazione di Italia-Spagna-Grecia...
Infine, i 3 paesi baltici si trovano in una posizione geografica favorevole. L'economia di Russia e Polonia non si è mai fermata e quella dei paesi scandinavi si è ripresa molto meglio dalla crisi. Con economie confinanti che tirano - e si rivalutano in termini reali - è molto più facile far ripartire le esportazioni. Soprattutto con un sistema industriale piccolo e che funziona fondamentalmente da indotto delle grandi industrie dei paesi confinanti.
Tutte caratteristiche che mancano nell'area meditteranea. E nessuna direttamente legata all'austerity. Forse, in circostanze molto particolari e difficilmente ripetibili, si può crescere nonostante l'austerity. Ma certo non grazie a questa.

Wednesday, 18 July 2012

Che senso ha prendersela con Moody's?

L'ulteriore declassamento dell'Italia è stato visto quasi come uno scandalo, un delitto di lesa maestà. Ma come, noi mettiamo i tecnici e sospendiamo la democrazia per far piacere ai mercati, ed i guardiani dei suddetti mercati ci castigano?
Francamente però non si capisce perchè non dovrebbe essere così. Almeno Moody's non nasconde la realtà. Lo spread è quasi a quota 500, l'economia in recessione, il debito pubblico in costante aumento. In poche parole, la situazione è assai peggiore di quella della scorsa estate. Non è solo colpa di Monti - la Merkel ci ha messo del suo! - ma è anche colpa di Monti che ha insistito con politiche recessive e riforme che inutili è dir poco.
E' ora di cambiar passo, o sarà troppo tardi.

Thursday, 12 July 2012

Spagna: austerity e manganello

Ecco il risultato concreto del vertice europeo. In Spagna, in cambio dei soldi per salvare le banche sono arrivate lacrime e (vero) sangue per i cittadini.
Si inizia con una finanziaria suicida per una economia già in ginocchio come quella iberica. Addio tredicesima e meno ferie per tutti i dipendenti pubblici insieme all'innalzamento dell'IVA - che Rajoy aveva esplicitamente escluso in campagna elettorale: un altro pezzo di democrazia comprato a fior di euro. Occupati solo di far quadrare per qualche mese i conti pubblici, questi liberali da operetta stanno distruggendo il futuro di intere generazioni. L'economia piomberà in una recessione ancora peggiore di quella attuale a causa dei consumi minori che queste misure inevitabilmente porteranno. E neanche si può dire che ci si aspetti un aumento degli investimenti, dato che queste misure non hanno nessuna ripercussione immediata sulla competitività. Quel su cui si  scommette è che i tagli ai salari dei dipendenti pubblici portino ad un (ulteriore) immiserimento della popolazione nel suo complesso, riducendo in seguito gli stipendi anche nel settore privato. Il marxiano esercito industriale di riserva.
Ed intanto, davanti alle proteste, risposta in stile franchista del governo. Botte da orbi, proiettili di gomma, 70 feriti.Con un messaggio esplicito: non tollereremo proteste.
La strategia greca: manganello e povertà. Questo, apparentemente, è il futuro dell'Europa.O almeno della Spagna

Thursday, 5 July 2012

Ma Hollande non era contro l'austerity?

Pare invece che si sia già dimenticato delle promesse elettorali. Dopo aver portato a casa dal vertice europeo una vittoria solo di facciata - con il varo di un pacchetto crescita assolutamente inutile - appena rientrato in Francia ha lanciatoun segnale ammiccante ai mercati.
Come riportato dal WSJ, a fronte di una crescita minore delle aspettative, il governo francese risponderà con tasse più alte e tagli di spesa pubblica - austerity appunto. Evidentemente i francesi, nonostante gli infiniti esempi di questi anni, non hanno ancora capito che l'austerity non fa altro che rallentare la crescita.
Ma tant'è. In fondo era lecito aspettarselo se si tiene a mente il record dei socialisti europei. Da Blair a Schroeder hanno portato il neo-liberismo al suo apice. Degli italiani meglio neanche parlare. Ed i socialisiti francesi son quelli che hanno lanciato la liberalizzazione finanziaria in Europa già ai tempi di Mitterand e Delors.
Questi socialisti non hanno ancora capito che è venuta ora di cambiare pagina. Già alle ultime elezioni presidenziali il risultato di Hollande al primo turno non era certo stato fantastico, con Front National e Gauche in decisa crescita. Cioè con un numero sempre maggiore di francesi stanchi del neo-liberismo. Purtroppo il messaggio non sembra esser stato recepito.

Wednesday, 4 July 2012

Gli inutili summit europei

Da due anni a questa parte, ogni summit europeo è stato un grande successo. Decisioni storiche sono state prese per salvare il Continente dalla crisi finanziaria. Siamo ormai sulla strada buona. Peccato che in questi due anni la crisi sia peggiorata, il contagio dilagato e l'Europa sia sempre più nella bufera.
L'ultimo summit, una volta di più descritto in termini entusiastici da giornali assai poco obiettivi, non è stato differente da altri. Tanto fumo, poco arrosto.
Qualche risultato positivo c'è stato ma farà assai poca differenza.
Il primo punto riguarda le banche - diciamo quindi il problema principale di Madrid. I governi europei si sono resi conto che affondare la Spagna per salvare le sue banche (alla moda dell'Irlanda) è stata una operazione poco furba e quindi ora (no, anzi, non ora, a fine anno), nel caso di banche in difficoltà si ricorrerà all'EFSF. Salvo che il fondo non ha abbastanza munizioni nella sua pancia e che se qualcosa succederà prima di Dicembre - eventualità più che probabile - ci troveremo di nuovo in braghe di tela. In cambio del salvataggio delle banche, la loro supervisione passerà nelle mani della BCE (al momento sono ancora sotto il controllo delle banche centrali nazionali) che potrà imporre qualche forma di condizionalità alle banche. Che forma, però, non è dato saperlo ed è quindi difficile per ora farsi illusioni: per ora si continua a dare, a gratis, contante alle banche.
Il secondo punto riguarda invece gli stati ed il debito pubblico - il problema principale dell'Italia. L'EFSF finalmente, potrà comprare bond dei paesi in difficoltà sul mercato secondario per tenere i tassi di interesse sotto controllo - per altro era stato creato esattamente per questo scopo due anni fa. Peccato però che nuovamente bisognerà dotare il fondo di ingenti capitali e queste iniezioni di liquidità (al momento mancante) debbano essere votate di volta in volta dal Bundestag. Altro che Europa, la sovranità tedesca rimane intoccabile, con risultati facilmente immaginabili.
In realtà se il fondo di 700 milardi non verrà modificato, dando la possibilità all'EFSF di prendere soldi a prestito direttamente dalla BCE, la dotazione del fondo prima o poi finirà.
Non solo: durante il vertice si sono messi a punto dei sistemi di salvataggio (per le banche ed in maniera molto minore per gli stati) ma non si è intervenuti sui problemi concreti, la struttura delle banche, i problemi di competitività del sud Europa, la dinamina del debito e della crescita. Si è dato un mini contentino ad Hollande con un piano di investimenti che non avrà nessun effetto concreto. In sostenza non si è fatto nulla per ridurre i problemi di fondo dell'Unione Monetaria e mentre si è trasformata la BCE in supervisor generale ancora non le si vuole riconoscere il ruolo di prestatore di ultima istanza. I problemi, dunque, rimangono ancora tutti sul tavolo.
La solita pezza su un buco che si allarga sempre più.

Tuesday, 3 July 2012

Banche, banche, sempre banche...

Appena poche settimane fa il mondo della finanza era stato scosso dal caso JP Morgan, con incredibili rischi e gigantesche perdite sofferte da quella banca da molti considerata quella meglio uscita dalla crisi del 2007.
Ora si cambia sponda dell'Atlantico, ma è sempre una grande banca ad essere nel mirino, Barclays questa volta. Qui non si tratta di investimenti rischiosi ma di frode vera e propria, con i tassi di interesse artificialmente riportati più bassi di quelli che erano per rafforzare la posizione della banca. 
Multa da quasi 300 milioni di pound, dimissioni del chairman ed ora anche del CEO, Bob Diamond, quello che solo poco tempo fa davanti ad una commissione parlamentare si era permesso di dire che "il tempo del rimorso per le banche era finito". Per inciso anche il CEO di JP Morgan si era distinto per le sue dichiarazioni pubbliche contro la riforma del settore finanziario, bollata come inutile. Neanche zitti sanno stare, i nostri eroi. E una qual certa giustizia divina si è abbattuta sulla loro testa.

Ma lo scandalo dei tassi di interesse va ben oltre Bob Diamond e Barclays e rischia di far saltare per aria la City. Una sorta di ripetizione del caso NewsCorp applicato alla finanza. Per prima cosa investe direttamente la cultura prevalente nel settore finanziario, popolato di squali senza scrupoli e senza rispetto per le regole. Per anni questi "master of the universe" sono stati considerati degli intoccabili. Non solo: si è sostenuto che la loro avidità fosse positiva, che più le banche facevano profitti - by any means necessary - più la società ne avrebbe tratto giovamento. Infatti. E la crisi finanziaria non ha cambiato in nulla questa cultura.

Quel che appare con evidenza in queste ore, però, è che il problema non è confinato alle banche private. I regolatori, la Banca d'Inghilterra, sembrano invischiati fino al collo - d'altronde sembra poco credibile che nessuno si fosse accorto di questi maneggi quando una inchiesta era stata aperta negli Stati Uniti già qualche anno fa. Ma anche i palazzi della politica tremano, e si sospetta fortemente che alcune personalità importanti del vecchio governo Labour possano essere invischiate nello scandalo. Dietro la frode bancaria potrebbe esserci stata una precisa volontà politica, chiudere un occhio se non addirittura incoraggiare frodi e comportamenti opachi per salvare le banche. 

Una nuova prova, se ancora ce ne fosse bisogno, dell'esistenza di una superclasse di politici, businessmen, grandi burocrati e banchieri che decidono le sorti del mondo senza sottostare a nessuna vera procedura democratica. E' il capitalismo al tempo della finanza

Thursday, 21 June 2012

La logica distorta dell'austerity

Dopo tre anni di fallimenti ancora non si vuole capire cosa è che non funziona nelle politiche economiche europee. Le elezioni greche ed il pacchetto di salvataggio per la Spagna non hanno cambiato nulla. Tagli alla spesa pubblica e pure aumento delle tasse, in Spagna è previsto anche l'aumento dell'IVA.
Il tutto accompagnato da una politica monetaria espansiva, sia con l'utilizzo di tassi di interesse molto bassi, sia con i quantitave easing, LTRO e varie immissioni di liquidità. L'idea è accompagnare una politica fiscale restrittiva che rimetta in ordine i conti pubblici con l'utilizzo della leva monetaria per favorire la ripresa economica attaverso il settore privato.
Ma sono le basi teoriche del ragionamento a non reggere. La recessione nasce nel settore privato con quella che Rirchard Koo ha chiamato balance sheet recession. Il settore privato fortemente indebitato prima della crisi, con la riduzione dei prezzi ha dovuto rimettere in ordine i conti e ridurre l'indebitamento. Il problema quindi non è (solo) il credit crunch e l'incapacità delle banche di prestare denaro. In realtà le banche si trovano davanti un settore privato che non vuole indebitarsi e con aspettative negative per il futuro, quindi senza incentivi ad investire. La teoria economica tradizionale sostiene che a tassi di interessi minori aumentino gli investimenti. Ma questa relazione non è sempre vera, basta guardare al Giappone dove tassi di interesse reali negativi non sono riusciti a stimolare gli investimenti. La stessa situazione si sta ripetendo in Europa.
Se la politica monetaria non ha effetti e non riesce a stimolare il settore privato, allora la politica fiscale restrittiva avrà effetti recessivi. Si diminuisce la spesa pubblica, si alzano le tasse sul consumo mentre la disoccupazione rimane alta e gli investimenti non crescono. Facendo così crollare il PIL.
L'unica soluzione è rilanciare una politica fiscale espansiva che in realtà si finanzia da sola. Le risorse messe nell'economia reale, attraverso il moltiplicatore, possono generare investimenti, consumo e crescita e dunque rientrare in forma di tassazione successivamente. Per farlo però occorre uscire dal paradigma neoliberista che richiede semplicemente una riduzione dell'intervento statale anche quando la crisi nasce nel settore privato. E' giunta l'ora di voltare pagina.

Wednesday, 20 June 2012

Lavorare di più?

Il sottosegretario Polillo, silenzioso ormai da troppo, ha lanciato una nuova idea per risolvere i problemi dell'Italia. Visto che allungare l'età lavorativa non basta per far crescere il PIL, possiamo provare in altra maniera, tipo lavorare una settimana in più all'anno.
Che idea brillante! Lasciamo perdere cosa questo vorrebbe dire per la qualità della vita dei lavoratori e per il nostro sistema sociale. Rimaniamo ai crudi numeri. Se l'economia fosse in una situazione di piena occupazione, Polillo potrebbe avere qualche ragione - più lavoro equivale a più investimenti, più produzione, più crescita.
Purtroppo in piena occupazione non siamo. E come mai? Perchè non c'è lavoro, perchè non ci sono prospettive di investimento per gli imprenditori. Non solo non si assume, ma si ricorre in maniera massiccia alla cassa integrazione, cioè i lavoratori sotto contratto vengono fatti lavorare meno di quello che dovrebbero. Basterebbe non avere cassa integrazione per aumentare il PIL. Polillo potrebbe cominciare a parlare con Marchionne, tanto per fare un esempio.
E se pure non ci fosse la cassa integrazione si potrebbe cominciare ad assumere i disoccupati prima di costringere chi già lavora a lavorare di più. Anzi, sarebbe proprio opportuno ridurre i giorni lavorativi ed assumere chi non ha lavoro, dato che l'aumento degli impiegati porterebbe ad un aumento dei consumi che aiuterebbe la produzione.
Lavorare di più, in una economia immobile come quella italiana, significherebbe solo ridurre il numero degli occupati, altro che aumentare il PIL.
Si tratta di considerazioni piuttosto ovvie che non richiedono una approfondita conoscenza dell'economia. Il dubbio è nessuno abbia avvertito Polillo dei dati occupazionali del Paese. O forse è semplicemente un incapace. In ogni caso l'ennesimo tecnico che non sa di cosa parla. La differenza con i politici, se c'è, davvero non si vede.

Wednesday, 13 June 2012

L'Italia di nuovo in ginocchio

E sei mesi dopo lo spread tornò quasi a 500 punti, quella soglia fatidica che fece cadere il governo Berlusconi. Capiamoci subito, non è certo colpa solo di Monti, come non era colpa del solo Berlusconi. L'Europa sembra essere governata da inetti ed incapaci che hanno creato la crisi e disseminato il panico per 3 anni. E non sto parlando dei greci. L'ultima pantomima sulle banche spagnole è morta nell'arco di un mattino. L'ennesimo salvataggio dell'Euro, nuovamente fuori tempo massimo e senza nessun piano che superi le 2-3 settimane, si è rivelato un flop. Per 3 anni non si sono riformate le banche ed ora queste sono di nuovo in crisi, nonostante tutta la liquidità fornita dalla BCE. Ed ora l'EFSF ha dato 100 milardi alla Spagna che li girerà alle sue banche che li useranno per comprare titoli del debito spagnolo. Come dare alcol ad un ubriaco cronico. I mercati hanno capito subito che si tratta di un cerotto rotto e non di un vero piano di salvataggio, e le borse, invece di salire, sono crollate.
Con il panico ai massimi livelli, l'attenzione della speculazione è tornata a concentrarsi sull'Italia. Situazione molto diversa da quella spagnola ma invece piuttosto simile a quella greca con un debito pubblico altissimo che lo Stato rischia di non essere in grado di servire. E qui veniamo alle colpe di Monti. La sua austerity ha riportato l'Italia in recessione. Il perchè lo si capisce subito vedendo il seguente grafico

http://www.economonitor.com/rebeccawilder/files/2012/06/gdp_italy.jpg
fonte: http://www.economonitor.com/rebeccawilder/2012/06/11/the-italian-economy-is-sliding/


Tutte le componenti del PIL sono in caduta libera rispetto al 2009, a parte le esportazioni che registrano comunque un rallentamento negli ultimi mesi. Nulla è stato fatto per la crescita, anzi con l'aumento delle tasse si è data una mazzata al consumo privato - e non sono ancora state pagate IMU e la nuova IVA. I frutti dell'austerity sono sotto gli occhi di tutti. Economia in affanno, debito che cresce, tassi di interesse alle stelle. Alla faccia delle riforme strutturali e della fiducia dei mercati.
In realtà quello che si sarebbe dovuto fare è incentivare investimenti e consumo. Nessuno dice che fosse facile, ma non ci si è neanche provato. La ricetta rimane sempre la stessa: patrimoniale pesante sui redditi più alti, magari unita a dismissioni mirate del patrimonio pubblico, ma non di quello produttivo (leggi Finmeccanica, ENI, ENEL). Usare questo contante per ridurre sostanzialmente il debito, possibilmente cercare di portarlo intorno al 100% ed usare le risorse liberate per ridurre il cuneo fiscale, così da diminuire il costo del lavoro e aumentare le buste paga. Ed invece quello che ci aspetta è un nuovo round di tasse sul reddito e sui consumi. E poi ci lamentiamo della sfiducia dei mercati.